NEW YORK. Schiaffo di Standard & Poor's all'Italia. Ed è uno schiaffo che fa male, perchè il downgrade deciso dall'agenzia finanziaria statunitense porta il rating del nostro Paese quasi al livello "spazzatura": BBB- da BBB. Solo un gradino più in alto del livello 'junk'. L'outlook sulle prospettive economiche è invece "stabile". Un colpo duro da incassare in un momento di massimo sforzo del governo Renzi sul fronte delle riforme. "Non è una bocciatura del Jobs Act", si appresta a commentare Palazzo Chigi: "Ci dicono che le riforme vanno bene, ma che bisogna andare più veloci", che ci sono "elementi buoni nelle riforme ma non tali da compensare il debito e risvegliare a breve l'economia". Ma al di là delle reazioni ufficiali, chi ha avuto modo di sentire Matteo Renzi dopo che la scure di S&P si è abbattuta sul nostro Paese parla di un premier amareggiato, che non avrebbe nascosto la sua delusione per il trattamento inflitto a un'Italia che sta tentando in tutti i modi di imboccare con decisione la strada del cambiamento. Solo per ricordare: eravamo a 200 nove mesi fa. Duecento". Standard & Poor's spiega come a pesare sulla sua decisione sia stato un mix di preoccupazioni tra una crescita molto basa e un debito pubblico ancora enorme. "Secondo i nostri criteri - scrivono gli analisti dell'agenzia - un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e da una bassa competitività non è compatibile con un rating BBB". Certo, lo sforzo sul fronte delle riforme viene riconosciuto: "Prendiamo atto che il premier Renzi ha fatto passi avanti col Jobs Act", si spiega nel rapporto di S&P, in cui però si esprime un certo scetticismo: “Non crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine”. E i "decreti attuativi" della riforma - si aggiunge - potrebbero "essere ammorbiditi", e ciò “potrebbe accadere alla luce di una opposizione crescent”. Dal Tesoro non arrivano commenti ufficiali. Ma in realtà il ministro Pier Carlo Padoan aveva già detto la sua in giornata: "Il nostro debito è sostenibile", e per capirne la sostenibilità "occorre guardare al surplus primario, che solo la Germania con l'Italia ha mantenuto positivo". E se il nostro debito dovesse salire - spiega Padoan - non è colpa dell'Italia. Se ci fosse un'inflazione in equilibrio all'1,8%, una crescita reale dell'1% e una crescita nominale di circa il 3%, il debito pubblico sarebbe in un sentiero di discesa rapidissimo".