Giovedì 19 Dicembre 2024

Jobs Act, il ministro Poletti: "Contratti a tutele crescenti entro dicembre"

ROMA. «Il contratto a tutele crescenti è il primo obiettivo che vogliamo portare in porto per fine anno»: il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, prevede che i punti chiave della riforma del mercato del lavoro possano essere operativi entro poche settimane; in modo che «a gennaio le imprese e i lavoratori possano utilizzare le scelte fatte nella legge di stabilità», a partire da quella «di ridurre il costo del lavoro», in modo «che la percentuale di contratti a tempo indeterminato cresca in maniera importante». La linea dettata da Matteo Renzi sul Jobs act è ferma: avanti, tempi stretti. Così la Commissione Lavoro della Camera si riunirà oggi, di domenica, per avviare l'esame degli emendamenti, tra cui quelli del Pd che - dopo la prima approvazione del testo in Senato - recepiscono la mediazione ora trovata all'interno del partito del premier; parte un tour de force per arrivare al voto in Aula entro il 26 novembre quando, secondo la variazione di calendario che la presidente Laura Boldrini porterà al voto lunedì, in Parlamento la legge delega sul lavoro passerà il testimone all'esame della legge di Stabilità. La commissione guidata dall'ex ministro Cesare Damiano è già convocata da lunedì a giovedì della prossima settimana, a partire dalle 10 di ogni mattina, per poter chiudere i suoi lavori entro giovedì 20, e passare il testo all'Aula. È ferma la linea del responsabile economico del Pd, Filippo Taddei: c'è «un conflitto un pò troppo intenso, forse, con le organizzazioni sindacali, ma ciò non ci fa desistere», avverte; «Non siamo spaventati dal pagare quello che può apparire un piccolo prezzo di consenso nel breve periodo, per realizzare il cambiamento». «Siamo convinti di aver scelto la strada giusta e pensiamo di portarla a compimento», dice il ministro Poletti, che è stato accolto a Imola dalla protesta dei lavoratori di due cooperative in difficoltà. Mentre sul fronte sindacale, in vista dello sciopero generale Cgil del 5 dicembre, si sta per aprire una nuova settimana di confronto-scontro con il Governo, dal tavolo di lunedì a Palazzo Chigi sugli interventi nella P.a. alla seconda delle «due grandi manifestazioni» annunciate dalla Fiom con 8 ore di sciopero generale, quella del 21 novembre a Napoli dopo quella di ieri a Milano. Il congresso Uil sarà poi un importante momento di confronto interno tra i sindacati. L'attenzione è tutta sul nuovo assetto della riforma dell'articolo 18, il terreno minato su cui si è raggiunta la mediazione interna al Pd sul possibile testo finale. Dopo «un approccio non corretto», «rimettere il dentifricio nel tubetto è difficile», ma «sono stati fatti passi significativi che dobbiamo rivendicare», dice Pier Luigi Bersani. Lo ha detto in un incontro di Area riformista a Milano aggiungendo però che al tema «c'è stato un approccio non corretto». Il dibattito resta aperto sul fronte politico. Angelino Alfano (Ncd) teme che «dopo alcuni decenni» si stia riproponendo un «conflitto a sinistra» sul mondo del lavoro che rischia di essere molto pericoloso: Ncd, dice, è «dalla parte dei riformatori» mentre chi è sceso in piazza, primi tra tutti Cgil e Fiom, «rappresenta un assetto conservatore che, in un momento di crisi nel mondo del lavoro, non è la soluzione ma l'aggravamento del problema». «La sinistra non ignori le ragioni della piazza», dice Francesco Boccia (Pd). Per Gianpiero D'Alia (Udc) «la partita è chiusa nel partito di Renzi, il Pd. La discussione parlamentare invece è aperta». «Non credo serva uno sciopero. Credo che sia più utile approvare le riforme», avverte il ministro Maria Elena Boschi.

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