ROMA. Il mercato del lavoro italiano sarebbe il più rigido tra quelli dei paesi sviluppati. Niente di più falso. L'errore dell'Ocse risale agli anni '90, quando per sbaglio i ricercatori considerarono il trattamento di fine rapporto (tfr), istituto riconosciuto anche in tutti gli altri ordinamenti, come una sorta di indennizzo per il licenziamento.
Questa svista fece sballare tutti i calcoli, motivo per cui l'indice di rigidità del mercato italiano risultò altissimo. Da qui il luogo comune che vuole che in Italia l'esistenza di troppi vincoli al licenziamento, a cominciare dall'articolo 18.
Quasi 10 anni dopo – su segnalazione della Banca d'Italia e di Maurizio Del Conte, uno studioso della Bocconi – l'Ocse ammise l'errore e rifece il calcolo. Si scoprì così che il livello di protezione (articolo 18 incluso) dei lavoratori in Italia non è affatto superiore a quello di molti nostri concorrenti, a cominciare da Paesi di solito presi a modello come la Germania, l'Olanda e la Svezia.
Venendo a tempi più recenti, nel 2013 l'Ocse assegna all'Italia un indice di protezione per un lavoratore assunto a tempo indeterminato pari a 2,51. L'indice della Germania è più alto (2,87), così come più alti sono i valori di Olanda (2,82) e Svezia (2,61). Inoltre, mentre questo dato è rimasto stabile in Germania, Svezia e Olanda tra il 2012 e il 2013, in Italia è calato (era 2,76) per effetto delle modifiche apportate all'articolo 18 dalla riforma Fornero.
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