Oltre tre ore di show, una quarantina di brani in scaletta, più di cento artisti sul palco (102 per la precisione), 550 costumi di scene: uno spettacolo totale, immersivo, visionario, potente. E decisamente vitale, perché nell’idea di fondo di Claudio Baglioni - padrone di casa instancabile - c’è l’idea di volersi sentire sempre e comunque vivo. «Spesso gli artisti veterani cercano il monumento autocelebrativo, che diventa una cerimonia collettiva in cui non c’è più niente di propulsivo - racconta il cantautore romano alla fine della prova generale davanti a qualche centinaio di ospiti prima del debutto del 21 settembre allo Stadio Centrale del Foro Italico -. Ma il pubblico va anche guidato e noi artisti abbiamo la responsabilità di cambiare qualcosa, non di dare solo quello che si aspetta. Dobbiamo dimostrare che non siamo fermi, ma che stiamo camminando verso qualcosa di nuovo e di diverso. Cercare la non omologazione».
Il risultato è aTUTTOCUORE, il nuovo live che chiude idealmente la trilogia aperta da Al Centro e proseguita con Tutti su!, uno spettacolo in cui si mescolano linguaggi, arti, spazi. Il tutto abilmente diretto da Giuliano Peparini. «Lo definirei un Paese delle meraviglie - continua ancora Baglioni -, di sera in sera scopro cose nuove. Chi sceglie di venire a vedere uno spettacolo deve essere stupito. Tempo fa si parlava di musica di evasione: ecco, non possiamo far scendere il numero di tragedie che ci sono nel mondo (e durante lo show non manca qualche riferimento alla contemporaneità nei quadri di Peparini che rimandano anche all’Ucraina o ai bambini soldato, ndr) , ma possiamo far salire quello delle cose belle e sognanti».
Di certo Baglioni non si tira indietro davanti a quello che sta succedendo a Lampedusa, dove lui ha casa e dove per dieci anni, tra il 2003 e il 2012, ha organizzato il festival O’ Scià, per sensibilizzare sul problema dei migranti. «Se a Lampedusa avessimo messo mani e pensieri 25-30 anni fa, forse non saremmo arrivati a questo. Ora sono cavoli per tutti. Bisogna solo attrezzarsi a poter trovare una soluzione, senza che questi argomenti diventino ancora una volta materia per scopi elettorali, perché altrimenti non se ne viene fuori», continua il cantautore dalla cui parole traspare un pò di amarezza. O’ Scià fu un appuntamento che ottenne riconoscimenti e plausi anche fuori dai confini nazionali, ma ad un certo punto finì. “Come tutte le cose anche quella ha avuto un inizio e una fine, ma io mi sono sentito sconfitto: i contributi bisognava faticarseli ogni anno e quella è stata un pò una delusione perché pensavamo di aver costruito qualcosa di diverso e di importante, che andavo oltre il torneo di bocce con il quale eravamo in gara per gli stessi fondi, Mi sono sentito sconfitto perché non è cambiato niente. E nel mondo non c’è solo Lampedusa perché le persone si muovono in cerca di situazioni migliori per la loro vita. Non possiamo condannare chi lo fa e non possiamo nemmeno condannare chi non ne può più. Come la guerra: vincono solo i potenti, il popolo coglione deve solo cercare di scansare la palla di cannone», chiosa l’artista mestamente.
L’impatto dello spettacolo è tale che l’idea che possa ambire a spazi ancora più grandi è lecita e Baglioni conferma: «Sì, può essere considerata una prova generale per lo stadio in vista dell’anno prossimo, senza cercare di perdere il contatto con il pubblico». Dopo il Foro Italico, dove sono in programma sei date, aTUTTOCUORE si sposta all’Arena di Verona (il 5, 6, 7 8 ottobre), poi al Velodromo di Palermo (12, 13, 14 ottobre) e all’Arena della Vittoria di Bari (20 e 21 ottobre).
Tempo per Sanremo? «No, a gennaio riprendo con le date indoor. Magari l’anno prossimo - scherza -. E poi io ho già chiesto di tornare a fare il direttore artistico, con 16 canzoni in gara. Tutte mie, così posso vincere».
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