Per i mafiosi la vita di di Maurizio Costanzo doveva finire 30 anni fa. La sera del 14 maggio del ‘93 il giornalista scampò, insieme alla moglie Maria De Filippi, ad un attentato organizzato a Roma da Cosa Nostra. Una Fiat Uno rubata venne riempita di 100 chili di tritolo e parcheggiata in via Fauro, una strada che il giornalista, finita la registrazione del «Maurizio Costanzo Show» al teatro Parioli, percorreva tutte le sere a bordo della sua auto per raggiungere la sua abitazione.
Una vita che allora non fu spezzata per una lunga serie di fortunate coincidenze. L’anno precedente all’attentato, nel febbraio del 1992, un gruppo composto da quattro mafiosi, tra i quali anche l’allora latitante Matteo Messina Denaro, fu inviato a Roma per studiare le abitudini di Costanzo e realizzare un attentato punitivo per il suo impegno televisivo contro la mafia ed in particolare per la staffetta tv, tra Rai Tre e Canale 5, realizzata insieme a Michele Santoro. Il giornalista fu pedinato per alcuni giorni ma ci fu un ripensamento da parte di Toto Riina che richiamò il gruppo in Sicilia. Nel ‘93 l’idea diventò però realtà. Il 13 maggio l’autobomba era pronta ma il congegno per attivarla non funzionò. Cosa nostra non perse tempo e ci riprovò il giorno dopo, ma anche questa volta una fortunata concomitanza aiutò Maurizio Costanzo a salvarsi la vita. Quel giorno, il 14 maggio, il suo autista decise di prendersi una giornata di libertà e così Costanzo, che dal 1976 non guidava più, decise di ricorrere ad un’auto a noleggio. Salvatore Benigno, il mafioso che schiacciò il pulsante per far esplodere l’autobomba, ebbe qualche attimo di esitazione perchè si aspettava di vedere Costanzo su un’Alfa Romeo 164, mentre comparve su una Mercedes blu. Il giornalista e la moglie rimasero illesi ma intorno lo scenario era di distruzione: facciate dei palazzi annerite e crollate, finestre divelte, sei auto distrutte e oltre 60 danneggiate, il muro di una scuola crollato.
In un primo momento Costanzo non pensò di essere proprio lui la vittima scelta dalla mafia, in realtà quell’autobomba apriva una stagione di attentati con i quali Cosa Nostra voleva ottenere, come contropartita per fermare la guerra allo Stato, l’abbandono dell’uso dei pentiti e del 41 bis.
L’ultimo sincronismo fortunato fu proprio Costanzo a raccontarlo durante la sua deposizione al processo: «Quando abbiamo sentito l’esplosione io e Maria ci siamo istintivamente chinati in avanti per coprirci. E’ stata una fortuna, perchè il lunotto posteriore è stato squarciato da un infisso di un palazzo. Se fossimo rimasti eretti, presumo ci avrebbe colpito. La Mercedes ha fatto, per lo spostamento d’aria, anche un balzo in avanti». In più occasioni il giornalista disse di essere «sfuggito al peggio per miracolo» e di aver avuto dopo l’attentato «come l’impressione di essere nato un’altra volta».
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