Domenica 24 Novembre 2024

La forza d’animo della ragazza che vinse contro i mafiosi

Parlare di mafia sempre. Parlare di mafia sempre, dovunque e con tutti. Soprattutto con i più giovani, per aiutarli a farsi strada nella vita, mostrando a cosa possa condurre un deviato senso dell’onore invece che perseguire i valori della legalità e della giustizia. Ma non tutti gli adulti riescono a parlare ai ragazzi usando un linguaggio chiaro e semplice e che, soprattutto, non giri intorno ai concetti. La netina Maria Giovanna Mirano è riuscita nell’impresa con Storia di una ribelle ‘nfame (Edizioni Leima; pp. 208; 16 euro), libro liberamente ispirato alla vita della giovane testimone di giustizia Rita Atria, sullo sfondo delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il testo, che strizza l’occhio ai più giovani, risulta infatti particolarmente indicato agli studenti delle scuole primarie e del primo biennio della secondaria: non conoscendo i fatti del 1992, potranno facilmente entusiasmarsi al lieto fine impresso dall’autrice. «Maria Danaro può ricordare la Atria ma ha una storia e un finale diverso- dice Mirano - sono “romanziere” per cui uso molto la fantasia». Fantasia con solide basi nella cronaca più triste della Sicilia e del Paese. Un argomento, quello di saper e voler dire no all’illegalità pur se così fan tutti (o, almeno, molti) che sta particolarmente a cuore alla scrittrice. «Il libro racconta della forza e del coraggio di una giovane donna - continua la scrittrice - di dire no alla mafia, nel caso di Maria Danaro, vuol dire riappropriarsi della proprio vita e libertà perché fin quando non si ha il coraggio (che segue la paura) di ribellarsi, non si potrà sperare in un futuro migliore. Maria vuole insegnare ai giovani a credere nei propri sogni e a lottare per realizzarli: dire no alla mafia si può e si deve. Ma, a differenza della Atria, la mia protagonista non si suicida… lei ha vinto contro la mafia». Nella realtà, la diciassettenne Rita Atria, nata e vissuta in una famiglia mafiosa di Partanna, si è uccisa a Roma il 26 luglio, al numero 23 di via Amelia (dove viveva tutelata dal Servizio centrale di protezione) una settimana dopo la strage in cui perse la vita Paolo Borsellino: in un certo senso, è la settima vittima di via D’Amelio. Nel senso che la picciridda (come la chiamava il magistrato), in un momento di sconforto, dopo aver appreso della morte di quell’uomo che con fiducia l’aveva accompagnata a vivere in un nuovo mondo pulito, non ha retto al dolore e allo sconforto. Maria Giovanna Mirano ne restituisce il ricordo, plasmandolo sui lettori più piccoli. E con un happy ending.

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