Scrittore dalla penna critica e dalla profonda coscienza civile. A trent’anni dalla morte di Leonardo Sciascia non rimane solo il ritratto di un grande intellettuale ma anche di una figura chiave della storia contemporanea, che fece dell’arte della penna lo strumento per esprimere il pensiero del suo tempo facendone vessillo di libertà con cui “vincere il silenzio e l'oblio”.
Sciascia, nato a Racalmuto (che nelle sue opere, quelle più autobiografiche, si trasforma in Regalpetra), morì nella sua casa di Palermo stroncato da un mieloma multiplo la mattina del 20 novembre 1989, all’età di 68 anni. Letteratura e politica si intrecciano fin dai primi anni della sua formazione. Sciascia fu infatti allievo di Vitaliano Brancati, suo mentore, e del senatore comunista Giuseppe Granata che lo educò alle parole di Cesare Baccaria, Pietro Verri ma anche alla pagine illuministe di Voltaire, Montesquie e Diderot.
Da quel momento, non rinuncerà mai nei suoi racconti, nei romanzi (il giallo era il genere che prediligeva per fare indagine tra le pieghe delle narrazione), nei saggi e persino in una sua commedia a intrecciare scrittura e analisi dura, a tratti spietata, del suo tempo.
Leonardo Sciascia, definito da Felice Cavallaro scrittore "eretico”, restituisce un ritratto senza filtri della mafia siciliana con “Il Giorno della Civetta” e “A ciascuno il suo”. Corruzione e rapporto stato-mafia sono gli argomenti dell’opera teatrale “L’onorevole”, mentre in “Todo modo” si scaglia alla stessa maniera contro il mondo ecclesiastico. Non si risparmia anche su quelli che in un articolo del 1987 chiamò "I professionisti dell'antimafia", puntando il dito su tutti quei politici e magistrati che, secondo l’intellettuale, usavano la lotta alla mafia per fare carriera e citando tra questi persino Paolo Borsellino.
Maestro di scuola, giornalista per L’Ora, il Corriere della Sera e La Stampa, e deputato fino al 1983. Era anche questo Sciascia che criticò il sistema democristiano ed entrò in polemica con Renato Guttuso ed Enrico Berlinguer, conflitto che portò alla definitiva rottura con il Pci. Ad accoglierlo il partito radicale e l’amicizia con Marco Pannella. Non a caso pubblica anche “L’affaire Moro” con cui si occupa del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro con fermezza e assoluta spregiudicatezza.
Ma numerosi anche i rapporti d’amicizia con il mondo della cultura, da Gesualdo Bufalino ad Italo Calvino, da Pier Paolo Pasolini a Vincenzo Consolo.
Tutto questo fu possibile grazie anche alla felice vita matrimoniale, in contrada Noce, vissuta con l’adorata moglie Maria Andronico, anche lei insegnante di scuola elementare, sposata il 19 luglio del 1944 e dalla quale ebbe due figlie Laura e Anna Maria, che non gli fece mai mancare quella serenità necessaria per tradurre in parole i suoi più intricati pensieri.
La casa di Racalmuto, dalla quale osservava al microscopio il mondo e le sue contraddizioni, adesso è stata recuperata da Giuseppe Di Falco e trasformata in museo. Carte, libri, ritratti degli autori più amati e il suo epistolario sono conservati nella palazzina della fondazione intestata alla memoria di Sciascia.
Memoria di cui si sente quanto mai la mancanza. “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”, recita l’epitaffio inciso sulla tomba dello scrittore, perché come spiegò “avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.
E proprio a Leonardo Sciascia, per volere del sindaco di Palermo sarà intitolata la storica biblioteca comunale nel complesso monumentale di Casa Professa. La cerimonia si terrà l'8 gennaio prossimo, giorno della nascita dello scrittore.
"Ricordare Leonardo Sciascia - dice Orlando - è ricordare un protagonista della migliore lingua italiana ed un 'eretico' quale conferma di esigenza di libertà. Sciascia è stato nel secondo dopoguerra la lingua italiana insieme con Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini: le rispettive 'eresie' hanno caratterizzato in forme diverse i tre grandi intellettuali sovente protagonisti di rapporti dialettici e apertamente conflittuali".
"Resta - prosegue - nella storia del nostro paese, al di là di numerosissime polemiche e aspri dissensi, l'anelito alla libertà e la denuncia di contesti che alimentavano una mafia non semplice crimine ma vero e proprio sistema di potere criminale culturale, politico, affaristico e anche religioso. Una mafia che in quegli anni ormai lontani non solo era ieri come oggi presente ma aveva il volto delle istituzioni e governava la città di Palermo".
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