Se ne è andato nella notte di tutti i santi, a poche settimane dal suo novantesimo compleanno Carlo Giuffré. Napoletano verace, cresciuto all’ombra (e poi in simbiosi) del fratello maggiore Aldo con cui divideva la passione e l’eredità del magistero di Eduardo De Filippo il cui repertorio gli era familiare fin dall’immediato dopoguerra prendendo parte agli spettacoli del maestro. Diplomato all’Accademia d’arte drammatica, Carlo non si accontenta però della sua maschera, sovente improntata al grottesco e alla matrice originaria della scena partenopea e nel 1963 entra nella Compagnia dei Giovani insieme a Valli, De Lullo, Falk per scalare i gradini del teatro pirandelliano. Torna a Eduardo dopo quasi 10 anni, in coppia con il fratello e ne ottiene un successo personale e di compagnia che proseguirà per molti anni. Come molti della sua generazione trova però la popolarità e una diversa identità grazie al cinema, passando per la televisione e i popolarissimi romanzi sceneggiati degli anni '60. Debutta sul set giovanissimo con Eduardo in «Napoli milionaria» (1950) e viene subito adottato come caratterista da artigiani del cinema popolare come Marcello Marchesi, Mastrocinque, Mattoli, lo stesso Anton Giulio Majano che poi lo avrebbe portato alla televisione. Ma com'era uso del tempo anche i maestri maggiori attingono ai generi popolari e ritroviamo Carlo Giuffrè anche ne «La macchina ammazza cattivi» (Rossellini), «Il ferroviere» (Germi), «Belle ma povere» (Risi). Nel 1956 debutta in tv con «L'alfiere» di Majano ma diventerà familiare nelle case con titoli come «Tom Jones» (1960) di Eros Macchi e «Le avventure di Laura Storm» (1966) in coppia col fratello Aldo e Lauretta Masiero. Sul grande schermo la grande occasione arriva con Mario Monicelli e «La ragazza con la pistola» (1968) anche se questo lo porterà poi a un certo macchiettismo nella commedia scollacciata degli anni '70 tra professoresse, vedove, mogli e supplenti non sempre all’altezza del miglior cinema e delle sue doti di attore multiforme. Ciò accadrà invece nella sua piena maturità quando Benigni lo sceglie come Mastro Geppetto per il suo «Pinocchio», Maurizio Ponzi lo vuole con Francesco Nuti in "Son contento», Carlo Vanzina lo sceglie a fianco di Gian Maria Volontè per «Tre colonne in cronaca», Liliana Cavani ("La pelle") e Vincenzo Salemme ("Se mi lasci non vale") che nel 2016 segna il suo addio al cinema. In teatro invece , dove si era diretto molte volte valorizzando il repertorio di Scarpetta, Curcio e Eduardo, aveva poi affidato per l’ultima volta la regia al figlio Francesco nella «Lista di Schindler» del 2014. Malato da tempo si era ritirato nella sua Napoli dopo la morte del fratello Aldo e oggi ci lascia il ricordo di un volto ironico e placido che riassume il carattere di una città che è anche un’idea della vita: la stessa che gli apparteneva, tanto regionale quanto universale.