Lunedì 23 Dicembre 2024

Dilili in Paris, regista francesce mette in scena una favola contro la violenza sulle donne

Michel Ocelot

Siamo a Parigi negli anni della Belle Epoque: una misteriosa organizzazione rapisce le bambine in città, le tiene segregate e le costringe a indossare un burqa nero. Un’immagine che ricorda immediatamente le studentesse rapite da Boko Haram, ma il maestro dell’animazione Michel Ocelot, aveva scritto ben prima dei fatti di cronaca, la storia di Dilili in Paris, che Alice nella Città presenta alla Festa del cinema di Roma nel giorno di chiusura. La favola animata, che dovrebbe arrivare nelle sale a dicembre con Movies Inspired, ha per protagonista Dilili, bambina nera coraggiosa e ansiosa di conoscere il mondo, arrivata dalla nuova Caledonia, che decide di ritrovare e liberare le sue coetanee. L’aiuteranno, in vari modi, il nuovo amico Orel, ragazzo delle consegne pieno d’iniziativa e alcuni dei più grandi geni che vivevano a Parigi in quegli anni: da Marie Curie a Marcel Proust, da Sarah Bernhardt a Toulouse Lautrec. «Ho deciso di parlare - spiega Ocelot - della violenza contro donne e bambine e dell’importanza della difesa dei loro diritti, perché è un tema ancora più d’attualità delle guerre. In Francia ogni due giorni e mezzo una donna viene uccisa dal compagno e le cifre sono ancora più pesanti in molti altri Paesi. Ogni tre secondi una ragazzina minorenne viene data in sposa. Ogni anno due milioni di ragazzine muoiono perché si è preferito nutrire i figli maschi. In 50 anni il numero delle donne uccise ha sorpassato il numero di vittime del 20esimo secolo. Ma siccome il mio mestiere consiste nel non raccontare solo orrori ma anche qualcosa di bello ho scelto come contrappunto un momento di luce nella civilizzazione occidentale, la Parigi e la Belle Epoque». È, per il cineasta «un’epoca sensazionale, trovavi geni a ogni angolo Fra gli altri, appaiono anche Satie, Monet, Renoir, Picasso, Camille Claudel, Rodin, Pasteur) e in ogni campo, sia uomini che donne». Ocelot ha scritto la storia «molto prima di Boko Haram e anche prima dei terribili attentati di Parigi, per questo mi ha lasciato sgomento vedere certe cose realizzarsi. Questo mi ha incoraggiato a difendere con ancora più passione la nostra cultura». Il film, che solo per la parte visiva ha richiesto sei anni di lavoro, è un’esplorazione di incredibile fascino della Ville Lumière in quel periodo, grazie all’unione di foto della città, scattate dal regista per quattro anni con la parte animata. «Ho fotografato la Parigi degli esterni, degli interni e i tanti esempi, ancora molto visibili dell’architettura liberty. E tutti i musei della città mi hanno aperto le loro porte». E’ stato più difficile trovare dei produttori: «Mi dicevano tutti no. Forse perché parlo di cultura e i commercianti ne hanno paura. O erano spaventati dal tema». A chi gli chiede a quale fascia di bambini voglia rivolgersi, lui risponde sorridendo: «Non ho mai fatto film per bambini. Non ho l’intelligenza di crearne uno rivolto a bambini di una specifica età. Poi i bambini capiscono tutto se la storia è raccontata in modo diretto e onesto. Alcune cose le comprendono subito, altre le indovinano, altre restano dentro di loro e le potranno comprendere più avanti».

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