PALERMO. Da due settimane il venerdì è sinonimo di un appuntamento piuttosto gradito dai lettori del «Giornale di Sicilia», quello con Luigi Natoli, prolifico autore palermitano di romanzi d’appendice, i cui volumi sono abbinati al quotidiano e si possono acquistare a un prezzo molto vantaggioso.
Il nome di Natoli, alias William Galt (talvolta si firmava anche Maurus), è indissolubilmente legato all’epopea de «I Beati Paoli» e del suo sequel «Coriolano della Floresta» (proposti proprio nelle scorse settimane), ma nella sua vasta bibliografia ci sono altre gemme del genere, che meritano d’essere riscoperte: narrazioni pirotecniche e fluviali che colmavano un vuoto nell’immaginario popolare, versioni cartacee di certe serie tv, soap opera ante-litteram, quando piccolo e grande schermo, tablet e smartphone non esistevano.
Qualche anno fa, per esempio, l’editore palermitano Dario Flaccovio ha riportato alla luce un romanzo di Natoli datato 1931 (pubblicato in appendice al Giornale di Sicilia da gennaio ad aprile di quell’anno), che non veniva ristampato da oltre sessant’anni, «I morti tornano», in un’edizione che si rifà a quella autorizzata e pubblicata dalla casa editrice milanese La Madonnina: indispensabile qualche intervento sul testo, principalmente di abolizione di refusi inevitabili, se si pensa che ai tempi di Natoli i caratteri della stampa si componevano ancora con il piombo.
Proprio questa è la proposta settimanale nell’ambito dell’iniziativa che coinvolge Giornale di Sicilia e Dario Flaccovio editore: a partire da domani sarà possibile acquistare, oltre al quotidiano al prezzo di 1,30 euro, anche il romanzo «I morti tornano», al costo di 7,70 euro, anziché 15.
La prima frase del primo capitolo del romanzo scaraventa subito il lettore nell’epidemia di colera che flagella Palermo: «Per la stanza si diffuse un senso di pavido stupore all’annunzio della improvvisa sventura scatenata sulla città». Chi vorrà avventurarsi lungo le 286 pagine del testo troverà una storia antica eppure modernissima, una sorta di noir ambientato nel 1837, in un momento storico di grosse turbolenze, in cui al terrore del contagio – topos letterario fortissimo da Lucrezio a Bufalino, a Camus, passando per Boccaccio e Manzoni – si mescolano tentativi di cospirazione anti-borbonica, oltre che amori, vendette e intrighi.
È un romanzo che fa parte di una ideale trilogia iniziata da Natoli (fervente mazziniano) con «Braccio di Ferro avventure di un carbonaro» e conclusa con «Chi l’uccise?», ma è ingeneroso classificarlo semplicemente come una storia del Risorgimento siciliano: ci sono molte più sfaccettature, sebbene le dimensioni del tomo siano piuttosto ridotte rispetto ai capolavori di Natoli, e nonostante il narratore si limiti a descrivere, senza commentare o fare osservazioni.
Il plot coinvolge principalmente due famiglie palermitane (quella di Giovanni Castaldi e della moglie Rosalia e quella di Andrea Pardo e della consorte Carlotta), che si ritrovano a convivere nella stessa villa di Mezzomonreale, dove si sono rifugiate per sfuggire all’epidemia: la convivenza forzata è il terreno fertile per un doppio adulterio, Andrea infatti seduce Rosalia e da lì in avanti è un susseguirsi di colpi di scena, fino a quello finale, magistrale.
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