ROMA. «Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando: dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà»: suonano come un testamento politico queste ultime parole, scritte il 9 aprile scorso per un suo pezzo sul Manifesto intitolato Cambio d’Epoca. Quasi un congedo con dentro tutto quello che Valentino Parlato, morto oggi a 86 anni, ha praticato per una vita: la sinistra, Marx, il comunismo e la voglia di capire, andando controcorrente. Nato a Tripoli in Libia il 7 febbraio 1931 da famiglia siciliana, dopo gli studi a Roma nel '51 dove conobbe Luciana Castellina, s'iscrisse al Partito Comunista. Dopo un inizio da funzionario del partito ad Agrigento, a metà Anni '50 comincia a collaborare con l’Unità per poi passare a Rinascita, il mensile allora diretto da Giancarlo Pajetta. Al Congresso del '69 però lo strappo: il tema del centralismo democratico con il vietare del formarsi di frazioni organizzate, lo porta insieme ad altri ad aperti dissensi sulla strategia generale del Partito che lui vorrebbe di attacco frontale al governo. Viene espulso dal Pci e qualche mese dopo, insieme ad altri dissenzienti, fonderà Il Manifesto. Il primo numero, uscito il 23 giugno 1969, porta le firme di Parlato, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Luciana Castellina e Ninetta Zandegiacomi. I direttori erano Lucio Magri e Rossana Rossanda. Un’Olimpo di intellettuali con l’aspirazione di incidere sulla sinistra da sinistra, un collettivo pronto ad incendiarsi, a discutere animatamente ogni fatto di politica e di cronaca, ogni riga di pezzo, divisi tra elaborazione politica e giornale. Le foto delle riunioni del Manifesto, con Valentino Parlato sempre in primo piano, sigaretta tra le dita, restituiscono questo sogno quasi romantico di giornalismo militante. La vita di Parlato coincide con quella del suo giornale, diretto a più riprese o co-diretto secondo l’usanza, fino al 2010. Titoli di una memorabile efficacia, pagine strette sotto il braccio a cortei e comizi, analisi e giudizi critici, controcorrente, coraggiosi, una spina nel fianco della sinistra al Governo o no. Storie ricordate dallo stesso giornalista in due libri, La Rivoluzione non russa (Manni editore) e Se trentacinque anni vi sembrano pochi (Rizzoli), mentre la sua vita è stata filmata dal figlio Matteo insieme a Marina Catucci e Roberto Salinas nel documentario 'Vita e avventure del Signor di Bric à Brac'. Fumatore accanito, dedicò a quella passione anche il libro Segnali di fumo. Locali per fumatori, Roma-Milano (edito dal Manifesto). Le crisi economiche del giornale negli ultimi anni, giornalisti in cassa integrazione, lo mettono a dura prova nonostante fosse Parlato tra i fondatori con più senso pratico. Il lavoro di questo gruppo d’intellettuali comunisti fino al midollo diventa quasi un lavoro volontario sostenuto grazie alla mobilitazione dei suoi elettori. Un’istituzione del giornalismo italiano indipendente più moderna di quello che forse si pensa visto che Il Manifesto è stato il primo quotidiano italiano a dotarsi di un sito internet nel 1995. Poi nel 2012 la messa in liquidazione della cooperativa. Parlato è l’ultimo dei padri fondatori a lasciare il giornale che risorge - non senza fatica - con una nuova generazione, e una nuova direzione, quella di Norma Rangieri. Ma il legame con Il Manifesto casa e partito al tempo stesso è più forte di tutto anche delle polemiche interne e Parlato continuerà a scrivere regolarmente, una volta al mese, spesso costretto a parlare di compagni di una vita che se ne vanno, come Alfredo Reichlin, Renzo Testi, Nino Caruso. Sempre combattente e battagliero, ma anche con un grande senso dell’ironia. A febbraio aveva raccontato sul suo giornale di essersi iscritto a Sinistra Italiana «in contrasto alla mia attuale tendenza a dimettermi da tutto. Sinistra Italiana perché, già nella sua formulazione, non vuole essere un partito ma una corrente politico-culturale di ricostruzione di una vera sinistra, fondata sui contrasti della nostra società». Con lo stesso impeto un anno prima aveva dichiarato di aver votato per Virginia Raggi sindaco di Roma, ammettendo «di aver tradito per la prima volta la sinistra, sperando fosse anche l’ultima». Ma era un tradimento passeggero, di quelli che si perdonano. 'Ciao Vale' titolano i compagni del collettivo del Manifesto. E dal neosegretario del Pd Matteo Renzi agli amici della Sinistra Italiana, al premier Gentiloni che ne sottolinea la coerenza, sono in tanti commossi a salutarlo.