ROMA. Polemico e rabbioso fino all'ultimo, utopista e anticonformista per natura e per scelta, appassionato e vitale sotto la scorza del suo apparente cinismo.
Questo era Pasquale Squitieri, nato a Napoli il 27 novembre del 1938 e scomparso in una clinica romana, per complicazioni polmonari, assistito dalla moglie, l'attrice Ottavia Fusco, sposata dopo anni di convivenza nel 2013. I funerali ci saranno lunedì alle 15 nella Chiesa degli Artisti a Roma.
L'aggettivo che meglio lo definisce come artista è "fisico": il suo cinema sprigionava un vitalismo e una immediatezza espressiva che riproduceva bene la sua indole.
Spesso coinvolto in battaglie d'opinione e in faziosità ideologiche, per anni venne rappresentato come "il regista con la pistola" (che si voleva portasse alla fondina come un trofeo machista), mentre il carattere celava sensibilità e timidezze mascherate dietro gli onnipresenti occhiali da sole a specchio.
Straordinario motivatore e personalità carismatica, deve certamente la sua fortuna al cinema ad un linguaggio diretto e senza fronzoli che caratterizzava i suoi film, ma anche al lunghissimo sodalizio con Claudia Cardinale, prima compagna ed attrice-feticcio, poi amica e confidente inseparabile che non lo ha mai lasciato solo, anche dopo la separazione. Nello scorso novembre, premiato alla carriera dalla rassegna assisiate "Primo piano sull'autore" seppe stupire la platea con un infervorato commiato tutto
dedicato alla gratitudine per i suoi attori (Claudia in prima fila) e per i giovani, una generazione a cui è affidata - disse - la nostra sola speranza, ma che "non sappiamo proteggere dalle insidie di una società sempre più marcia e irredimibile".
Laureato in legge, assunto al Banco di Napoli, deve a un infortunio professionale (un'accusa di
peculato che gli costò comunque cinque mesi di carcere) la spinta definitiva ad abbandonare il lavoro e a tuffarsi nella sua vera passione per la cultura. Fu Vittorio De Sica a scommettere su di lui nel 1969, producendo il suo lungometraggio d'esordio, "Io e Dio", permeato di un ribellismo istintivo contro la prepotenza del potere e la cecità della gente "perbene", comprese le autorità ecclesiastiche.
E' il frutto dell'ondata anti-sistema del '68 che trova in Squitieri un appassionato sostenitore, fino a spingerlo su posizioni non lontane da gruppi di contestazione come "Lotta continua".
Da regista sceglie invece la strada della metafora politica ammantata da cinema di genere e, con lo
pseudonimo di William Redford, si lancia nello spaghetti western con due titoli di successo: "Django sfida Sartana" e il più personale "La vendetta è un piatto che si serve freddo" del 1971. Rivisti oggi, sono film che mostrano già il talento più evidente del giovane autore: linguaggio asciutto, forti sentimenti, gusto per la narrazione popolare, grandi ideali da ribelle solitario e un anarchismo di fondo che spiegherà le sue controverse posizioni politiche, dalla sinistra alla destra, fino ad un isolamento intellettuale
che pagherà sempre in prima persona. Non è quindi un caso se, abbandonato il cinema di genere, ne porterà gli elementi strutturali in racconti più personali, dedicati al Meridione, alla sua terra "destinata sempre a pagare per tutti sotto il tallone dei vincitori", narrando piaghe come il banditismo, la mafia, la camorra. Qui si mostra capace di conquistare il pubblico coi suoi film migliori: "I guappi!" (1974) con Fabio Testi, "Il prefetto di ferro" (1977) con Giuliano Gemma), fino a "Li chiamarono&hellip briganti" (1999) con Enrico Lo Verso nei panni del discusso Carmine Crocco, condannato all'ergastolo per banditismo dopo l'Unità d'Italia e poi rivalutato dalla storiografia partenopea come eroe popolare.
Un tipico eroe perdente nel pantheon personale di Pasquale Squitieri come lo erano il Prefetto Mori (mandato dal fascismo a combattere da solo la Mafia), il pentito Ragusa del film omonimo (ispirato al caso Buscetta) e perfino lo stanco e disilluso Mussolini di "Claretta" (1984) con Rod Steiger e Claudia Cardinale. L'insuccesso di "Li chiamarono&hellipbriganti" (ritirato dalle sale in circostanze mai chiarite e accusato di revisionismo storico), chiuse a Squitieri molte porte del cinema, tanto da indurlo ad abbracciare la carriera politica nelle file di Alleanza Nazionale (e poi del Polo delle Libertà), ma non ad abbandonare la sua vena artistica. Negli anni successivi avrebbe infatti diretto ancora cinque film tra cui un vigoroso "L'avvocato Di Gregorio" sul tema delle morti bianche con un istrionico Giorgio Albertazzi e il film-testamento "L'altro Adamo" del 2014 con Lino Capolicchio e Ottavia Fusco, parabola visionaria sul futuro prossimo. Il sociale lo appassionava da sempre, tanto da aver dedicato più di un lavoro
alla piaga dell'immigrazione clandestina e a quella delle droga, fino a indurlo (verso la vecchiaia) ad abbracciare le idee radicali, iscrivendosi al partito transnazionale di Marco Pannella.
Emarginato, un po'per scelta e un po' per il carattere brusco e polemico, dall'élite intellettuale, scomodo per tutti, ma sempre difeso dal successo popolare, lascia in eredità un pugno di film da rivalutare, una figlia (nata dalla relazione con Claudia Cardinale) e un gruppo ristretto di amici e sostenitori che in lui hanno sempre riconosciuto l'onestà delle idee, la passione individualista, la voglia di non rassegnarsi mai.
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