ROMA. «Società liquida» è diventata ormai un'etichetta per questo nostro mondo in cui non si hanno più punti di riferimento certi, in cui i valori sono in crisi e alle sicurezze di un tempo si sono sostituite incertezze e timori per il futuro personale e sociale. La definizione, tra le più fortunate e popolari degli ultimi anni proprio per la sua capacità metaforica di sintesi, è del sociologo-filosofo polacco Zygmunta Bauman, scomparso oggi a 91 anni, testimone del suo tempo e assieme capace di esserne uno degli interpreti critici più acuti. «Una società può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e della società si rafforzano a vicenda»: inizia così il saggio «Vita liquida» del 2005 che porta avanti i concetti espressi cinque anni prima in «Modernità liquida» e approfonditi anche in «Amore liquido» nel 2003 sulla fragilità dei legami affettivi nel mondo odierno. È una visione della contemporaneità e della sua crisi che Bauman, con la sua calda comunicativa, ha spiegato e portato avanti partecipando a convegni e festival senza mai tirarsi indietro forte di una verve che ancora a settembre, al Festival della Filosofia di Modena di cui era una delle presenze storiche, aveva coinvolto centinaia e centinaia di persone. Dopo l'epoca delle grandi ideologie e fedi monolitiche, l'uomo, ridotto «a una dimensione» a metà anni Sessanta secondo la definizione di Herbert Marcuse, è come oggi si sfaldasse, si sciogliesse per lo stress e le incertezze che un mondo dal consumismo ossessivo e in crisi economica e sociale impone, costringendolo, per Bauman, a una sorta di corsa senza fine per non restare indietro per non perdere la propria posizione, cercando di adeguarsi continuamente. Del resto è un pò quello che è accaduto a Bauman stesso nella sua vita, nato a Poznan nel 1925, ebreo fuggito a 14 anni in Urss dopo l'invasione nazista della sua Polonia, combattente con i sovietici, prima marxista (che da leninista si avvicina poi a Gramsci e Simmel) e quindi anticomunista, tanto da perdere la propria cattedra all'università di Varsavia, in un' epoca in cui l'antisemitismo torna come arma politica nell'Europa dell'Est, così da essere costretto ad abbandonare nel 1968 il proprio Paese, andando a insegnare in Israele, a Tel Aviv, prima e infine in Inghilterra a Leeds, dove viveva tutt'ora avendo preso la nazionalità inglese. Prima di divenire il teorico della modernità liquida, alla fine degli anni Ottanta il suo nome acquistò notorietà internazionale grazie ai suoi studi sul rapporto e le connessioni tra la cultura della modernità e il totalitarismo, focalizzati in particolar modo sul nazismo e la persecuzione antiebraica («Modernità e Olocausto» del 1989). Ma sono decine i suoi libri, dal primo e lodato sul «Socialismo britannico» del 1959 sino a «Per tutti i gusti - La cultura nell'età dei consumi» di pochi mesi fa, edito in italiano, come la stragrande maggioranza dei suoi titoli, da Laterza. Per Bauman, che amava ripetere «l'unico giudice è la mia coscienza», la morale è un atto razionale individuale, ma che crea la società, che appunto nasce da una scelta etica individuale, da un atto etico che è solo opera mia e però crea un legame con gli altri: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. L'atto morale è l'incontro con l'altro e il riconoscerlo come persona. In questa prospettiva ecco per certi versi anche il senso di quelli che chiama «danni collaterali», titolo di un suo saggio del 2011, effetti sconcertanti e derivati direttamente dalle diseguaglianze sociali, da cui, su scala globale, nascono anche la violenza e il terrorismo: «a soffrirne è la democrazia, perchè la gente si convince che sia necessario rinunciare alla libertà per avere un'ipotetica sicurezza. Nasce quindi un circolo vizioso in cui destra xenofoba e terrorismo internazionale finiscono per operare favorendosi a vicenda». Il suo sguardo vigile sul presente, dove c'è chi insegna a trovare «soluzioni private a problemi sociali», era sempre pronto a mettere in guardia, attento a tutto, affascinato e critico verso le nuove tecnologie, timoroso delle derive irrazionali in un mondo in cui le «reti» si sono sostituite alle «strutture», i «cittadini» si sono corrotti in «clienti» e la «durata» è stata sostituita dalla «istantaneità», così che la gente si sente costretta a fingere e reinventarsi di continuo in nome di una libertà assolutamente illusoria. Per Bauman, insomma, siamo come passeggeri impauriti su un aereo con la cabina di comando vuota e inserito solo il pilota automatico che non dà informazioni su dove stia andando: la verità, ed è il monito che oggi ci lascia, è che dobbiamo arrivare a disinserirlo e prenderci nuovamente le nostre responsabilità.