ROMA. «All'Italia non so più che cosa augurare. In questi anni ho sperato di tutto, ma a questo punto credo che dobbiamo tenercela più o meno così... Combattere sì, quello è ovvio, ma con una grande pazienza»: a pochi giorni dalla fine dell'anno, Roberto Vecchioni appare disincantato. Il professore se la prende con la politica, ma anche con gli italiani. «Bisognerebbe avere un po' più di coraggio e fiducia e ostentare meno menefreghismo, cercare di capire le proprie responsabilità senza dare sempre le colpe agli altri», osserva mentre presenta l'album 'Canzoni per i figli', raccolta di vecchie canzoni più note (come 'Figlia' e 'Le rose blu') o meno note, riarrangiate da Lucio Fabbri, risuonate e ricantate. Il cd è pubblicato in un cofanetto insieme al volume 'La vita che si ama. Storie di felicità', dedicato sempre ai figli. Il cantautore si mette in discussione come genitore. «Con i miei ragazzi - racconta, parlando del suo album più intimo e autobiografico - ho sbagliato tante cose. Con i figli non si indovina mai, ma per fortuna c'è chi rimedia: la madre, il destino o i figli stessi, troppo intelligenti». E si definisce «uno sventurato padre che ha raccontato loro solo sogni». Figli (Francesca, Carolina, Arrigo ed Edoardo) che hanno avuto la fortuna di essere nati in un Paese in cui c'è tutto, aggiunge Vecchioni, pensando al dramma ingiusto dei bambini di Aleppo. Nell'album, «ad alto tasso di emotività», c'è spazio anche per la sua mamma, evocata nella delicata 'Dimentica una cosa al giorno' e nella struggente canzone inedita 'Che c'eri sempre'. «Mia madre è veramente un mito per me: era la dolcezza, la tenerezza, la capacità di farmi sopportare i mali, i fastidi, i problemi che avevo anche da piccolo. Lei - ricorda Vecchioni - era sempre lì in qualsiasi momento... Io, invece, non ci sono stato nell'unico momento in cui avrei dovuto esserci, quando se n'è andata. È l'unica cosa che non mi va giù - confessa - e mi rimane come un dolore profondo della vita».