PALERMO. Pantelleria è il paradiso dei sub. Un’isola di origine vulcanica priva di spiagge sabbiose e ricca di coste frastagliate scolpite dalla mano artistica della natura. È per questo il luogo ideale per gli amanti delle immersioni subacquee. Parola di Maria Ghelia, torinese, classe 1939.
Lei è la prima donna in Italia iscritta ad un corso regolamentare della Federazione italiana pesca sportiva e ha conseguito il brevetto nel 1959. Maria Ghelia ha scelto 25 anni fa di rifugiarsi sull’isola di Pantelleria, quando ancora non era molto frequentata. Durante le sue prime immersioni, ha scoperto fondali ricchi di vita, paretine e massi ricoperti dai tipici coralli mediterranei che, con i loro colori brillanti dal giallo all’arancione, sono un vero colpo d’occhio per chi si immerge, tonni, ricciole, saraghi e cernie. Oggi, a 76 anni, è tra le più esperte guide subacquee e ancora oggi conduce gli appassionati del mondo marino alla scoperta di scenari indimenticabili. Si può scegliere tra i vari tipi di immersioni e tra le varie offerte di escursioni alla scoperta di fondali ricchi di posidonia, coralli e tutte le forme di vita marina, ma anche grotte, relitti, e percorsi archeologici subacquei.
Sì, perché nei fondali di Pantelleria si nasconde anche tanta storia. Nel 2001 la Soprintendenza del mare ai beni archeologici subacquei della Regione Sicilia le affida la guardiania di un buon tratto di costa occidentale e meridionale dell’isola di Pantelleria. Ci sono diversi percorsi «archeologici» subacquei. Punta Tre Pietre, Cala Li Marsi e Cala Rotonda sono tre luoghi da visitare dove si possono ammirare ancore litiche, tegole di epoca romana, manichetti di anfore - spiega Maria Ghelia - mentre un percorso che è stato creato ad hoc è quello a Gadir, lungo il quale si possono ammirare anfore di epoca punica e romana e un’ancora di piombo. Un altro percorso consigliato è quello di Cala Tramontana, dove si osservano, oltre a cocci d’anfora, anche monete di epoca Romana. Intorno all’isola è possibile trovare reperti del nostro passato perché Pantelleria non offriva ridossi dai forti venti di maestrale e scirocco e, quindi, molte navi, in diverse epoche, affondarono lungo le sue coste. Maria Ghelia è una donna che continua a immergersi ogni giorno e quello che le sta più a cuore è la tutela e la salute del Mar Mediterraneo. «Nel mese di settembre si potrebbero ammirare grossi tonni, saraghi, cernie e molto pesce azzurro, ma questi pesci oggi sono messi a rischio dalla pesca indiscriminata a strascico e con il cianciolo».
Anche Maria Ghelia fa parte del «Gruppo di lavoro tutela Pantelleria». Negli ultimi tre mesi estivi è iniziata una prima raccolta di mille firme, che insieme con la campagna di sensibilizzazione per la tutela dell’isola e vari eventi aperti alla cittadinanza, è stata condotta tra i cittadini panteschi per promuovere l’idea di Area marina protetta. Entro la fine di ottobre il ministero dell’Ambiente riceverà le firme e una proposta di tutela del mare, ideata e promossa dagli stessi cittadini dell’isola.
L’idea è quella di tutelare il mare e nasce dal lavoro di un gruppo di pescatori, rappresentanti del turismo e singoli cittadini che hanno a cuore questo tema e il turismo sostenibile. Gianpaolo Rampini, come responsabile di una campagna proposta dal Wwf Italia nel 2013 contro le trivelle nel Canale di Sicilia, «Il petrolio mi sta stretto», a cui si è unita una petizione sul portale change.org che ha raccolto un totale di 50 mila firme solo nel 2013, ha proposto il «processo partecipato, come modalità di intervento di tutela dell’isola. Il processo si è sviluppato creando un gruppo di lavoro di gruppi d’interesse economico locale, che ad oggi continua il percorso verso una partecipazione popolare attiva». Intanto, all’isola di Pantelleria è arrivato il riconoscimento di WWF International come «Icon at threat», una delle 5 ricchezze del mondo da salvaguardare dalla minaccia delle trivellazioni petrolifere.
Ma le piattaforme petrolifere, secondo chi ha firmato la petizione, non sono l’unico pericolo che minaccia la perla nera del Mediterraneo. I rischi arrivano anche dalla pesca industriale meccanizzata illegale, che con un solo giro intorno all’isola garantisce guadagni intorno ai 20 mila euro di pescato, e fa gravi danni all’ecosistema dell’isola. Quando grandi pescherecci fanno incursioni di questo genere, lasciano i pescatori locali senza risorse per il resto dell’anno
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