BERLINO. Si chiama Murat Haruna, ha 36 anni, è originario del Ghana. È uno di quelli che ce l'hanno fatta: il barcone «stracarico», su cui si avventurò in cerca di fortuna, ormai diversi anni fa, riuscì, non senza peripezie, a raggiungere Lampedusa. E ieri ha debuttato a Berlino, come attore, in un lavoro di Elfriede Jelinek, «die Schutzbefohlenen». Un testo che si ispira alle «Supplici» di Eschilo. E che nel titolo - un gioco di parole - contiene un vero e proprio manifesto d'intenti: alla lettera significa infatti «Coloro a cui si deve dare protezione». «È andata molto bene e oggi si ripete», risponde Murat Haruna al telefono, poco prima di andare di nuovo in scena in occasione del 52mo Tehatertreffen, nella capitale tedesca. Haruna è uno dei venticinque profughi che sono riusciti a vedere legalizzata la loro posizione, in Germania, grazie all'iniziativa di un coraggioso teatro di Amburgo, che li ha coinvolti in una produzione portandoli sul palco. «Hanno un contratto come comparse, prendono 25 euro a spettacolo», racconta il direttore Joachim Lux in un'intervista all'ANSA, «recitano in inglese, tedesco, nelle loro lingue. All'inizio erano molto timidi. Poi col tempo ci hanno provato gusto, e adesso si divertono». Il successo di questa insolita compagnia di attori è l'epilogo di molte controversie: «Quando arrivarono ad Amburgo, circa un anno fa, furono accolti dalla chiesa. Erano centinaia di immigrati, non potevano restare. E ci furono discussioni accese fra la chiesa che voleva trattenerli e l'amministrazione cittadina, che avrebbe dovuto spedirli indietro». Nei paesi di provenienza o in quelli da cui arrivavano, come ad esempio l'Italia. Il teatro Thalia s'inserì in questo dibattito, con iniziative concrete: «Lanciammo una raccolta di fondi fra la gente, raccogliendo 50 mila euro in tre mesi: procurammo cappotti per l'inverno e vestiti. Poi ci facemmo avanti per capire come avremmo potuto coinvolgere alcuni di loro nelle nostre attività». E qui il Comune fece la sua parte, facendo in modo che si potesse arrivare ad ottenere dei permessi rapidamente, in vista dei contratti offerti dalla compagnia. «Dopo due mesi di prove siamo andati in scena per la prima volta a giugno, e ora debuttiamo a Berlino», dice soddisfatto Lux. Una vicenda in cui la solidarietà ha trovato la via per agire, nonostante le molte difficoltà burocratiche, con effetti positivi anche sul territorio: «Non posso dire con certezza che senza il nostro teatro sarebbero stati mandati via, ma abbiamo dato un contributo alla de-escalation del conflitto in un momento difficile. E questo è stato un bene anche per il resto della città: la gente ha visto che questi ragazzi sono persone normali, bisognose di aiuto». Dopo ogni rappresentazione il teatro promuove un incontro fra pubblico e compagnia, proprio per far conoscere la storia degli immigrati-attori. Come quella di Haruna: «Anche la nostra barca era piccola e stracarica, e rischiammo di finire tutti in mare ? racconta all'ANSA, rievocando l'inizio della sua avventura, dopo tre anni trascorsi in Libia -. Ma per fortuna dalle coste di Lampedusa ci videro e vennero a salvarci: ci vollero ore». Due anni in Italia, vicino ad Ancona, gli hanno permesso di imparare l'italiano. Ma poi dovette andar via: «Chiusero il campo, non potevamo restare. E lì non c'era lavoro». La Germania fu una scelta obbligata, dice, e tutto sommato giusta: «Qui abbiamo trovato molta solidarietà». E per ora anche un lavoro.