Venerdì 22 Novembre 2024

Pino Daniele, quella sua «Sicily, terra ’e nisciùno» che era così vicina a Napoli

Prego, signor Danieli, si accomodi», lo invitò la proprietaria dell'Hotel Regina di Bologna, giù, in fondo a via dell'Indipendenza. «Daniele, signora, Daniele», corresse Pino, che in quell'aprile del 1980 girava l'Italia con Nero a metà ma era anche conosciuto «a metà». Solo da un paio d'anni aveva iniziato a sdoganare il suo dialetto, a ferire a morte l'oleografia napoletana, quella tutta pizza ca pummarola 'ncoppa, a mischiare Napoli e New Orleans.   Lo aveva reso abbastanza noto Je so' pazzo, con quell'invito ironico finale a «non scassare», censurato allora, che oggi fa sorridere. Oltre 30 anni dopo, a quell'hotel a tre stelle su via dell'Indipendenza, dove alloggiava con la sua piccola ciurma, il signor «Danieli» aveva dedicato una canzone strumentale, meno di un minuto, una tenera melodia intagliata da una chitarra. Una piccola tribù, quella che lo accompagnava, scomposta. Lui e quegli amici disordinati e allegri: Rosario, Gigi, Enzo, Tony, Ernesto. E James, nero tutto e non a metà, ma più napoletano degli altri. Voglio di più, cantavano. E ci credevano, eccome.   Non c'erano, nel 1980, fans né giornalisti ad aspettarli, nessuna barriera tra loro e il pubblico, né groopies decorative e disponibili, tranne qualcuna che osava «provarci» con Esposito, il bello della band. Lui, Pino, restava spesso nella hall dell'hotel, con il suo oggetto del desiderio: le «forme» della sua chitarra. «È la mia malattia», diceva pizzicando le corde. L'altra di malattia, quella che avrebbe fermato il suo cuore, era ancora lontana. Come erano lontani gli stadi stracolmi, le collaborazioni internazionali: allora, nel 1980, quando un locale si riempiva, si brindava. L'ARTICOLO INTEGRALE NELLE PAGINE DEL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA

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