CATANIA. Leo Gullotta, impareggiabile maschera comica e tragica del teatro italiano, vive ormai da tempo lontano dalla «sua» Catania - «non ho più neppure casa, dopo la morte di mia madre» - ma non vuole essere accomunato a Giampiero Mughini, altro figlio d'Etna, da decenni «in esilio volontario» fra la Città Eterna e la Torino bianconera.
Lei «non scappa», ma ha trasferito altrove la sua residenza quando ancora era ragazzo o poco più. Perché se n'è andato?
«Non me ne sono mai andato. Chi se ne va, è uno che ha problemi di vario genere. La mia radice è quella, rimane quella. Io, però, negli anni Sessanta e Settanta avevo fatto dieci anni di esperienza al Teatro Stabile di Catania e ciò che avevo appreso dai grandi, da Salvo Randone e Turi Ferro, mi aveva fatto capire quanto questo mestiere sia basato sul guardare gli altri. Se vuoi essere interprete, devi aprirti al mondo e assorbirlo».
Quindi, il trasloco a Roma...
«Io ci vivo ormai dalla bellezza di quarantacinque anni. Stiamo, quindi, parlando di un paesaggio totalmente differente rispetto a oggi».
Una scelta, la sua. Per tanti giovani, invece, una necessità abbandonare adesso la Sicilia?
«Non credo che il problema sia solo siciliano. Piuttosto, si va via dall'Italia! E questo avviene a causa di una politica ottusa, inaccettabile, che non costruisce nulla. Assistiamo a uno slogan continuo, ma di fatti se ne vedono pochi. Oggi, chi emigra lo fa con l'animo dolente. Non è certo il mio caso di allora».
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