MOSCA. «Non credo che la concezione del potere sia stupida o esagerata in sè, è semplicemente la sua concezione. Penso solo che nell'arte il potere non debba interferire. Gli allievi devono ascoltare i maestri, è tutto». Yuri Liubimov, patriarca del teatro sovietico e russo, fondatore dello storico palcoscenico d'avanguardia Taganka, si è spento ieri a Mosca, a 97 anni, dopo essere stato ricoverato in gravi condizioni per un attacco di cuore.
Anche il presidente Vladimir Putin gli ha reso omaggio, sottolineando il ruolo del regista «nello sviluppo del teatro russo contemporaneo». Nato a Yaroslavl nel 1917, Liubimov compie i primi passi nel teatro di Cechov e frequenta alcuni dei più eminenti artisti sovietici, dal regista Vsevolod Meyerhold al compositore Dmitri Shostakovich, dall'attore Vladimir Vysotsky agli scrittori Boris Pasternak e Aleksandr Solgenitsin. Dal 1953 dirige il Teatro Vachtangov di Mosca; nel 1964 fonda il Teatro della Taganka che diviene uno dei centri del rinnovamento della scena teatrale internazionale e un'isola di libertà negli anni di Breznev. Nel 1984, dopo un'intervista polemica nei confronti del Cremlino, è costretto a lasciare l'Unione Sovietica: tornerà in Russia nel 1989, in piena perestrojka con Gorbaciov. Amato anche in Italia, Liubimov lavora alla Scala tra gli anni 70 e 80.
Invitato da Paolo Grassi e Claudio Abbado, segna attraverso pochi titoli di grande impatto una svolta, portando nuovi linguaggi registici. Il debutto scaligero avviene nel 1975 con la prima assoluta di Al gran sole carico d'amore di Luigi Nono al Teatro Lirico, con Claudio Abbado sul podio. Abbado richiama Liubimov per la regia del Boris Godunov di Musorgskij che apre la stagione 1979/80. L'ultima collaborazione di Liubimov con la Scala risale al 1985, con la rappresentazione scenica della «Passione secondo Matteo» di Bach nella chiesa di San Marco per la direzione dl Zoltan Pesko. Nel 2011, a 93 anni, lascia la scena del Taganka, in contrasto con i suoi attori, ma continua a lavorare fino alla fine: nel 2013 mette in scena al Bolshoi una nuova edizione del Principe Igor di Alexander Borodin. Per Liubimov, chiamarsi maestro si riassumeva nelle parole «professionalità, lavoro duro, studio.
Non bastano 4 o 5 anni di accademia per diventare attore - ha detto - ci vuole una vita intera». La sua ricetta poetica: per toccare profondamente e provocare una risposta viva, il teatro deve «affrontare e raccontare le cose, le situazioni autentiche, la nostra vita, la vita della società».
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia