Nell'Atelier trovi l'arte che non t'aspetti, quella contemporanea: in Sicilia il passato è sempre lì a ricordarci chi siamo, ma non a renderci immobili di fronte ad altri richiami. Nell'Atelier, dove le stanze si possono sfogliare come un catalogo d'arte, Giovanni Pepi, condirettore del Giornale di Sicilia, ha rincorso il suo progetto e il risultato sarà visibile da oggi (alle 11 l'inaugurazione), e fino al 14 settembre, nei saloni di quell'altare della bellezza che è l'Atelier sul Mare di Antonio Presti a Castel di Tusa, nelle immagini della mostra Luce e segni, organizzata dalla Fondazione «Fiumara d'Arte» con la collaborazione di Donatella Aiosa. Pepi riporta la fotografia a quella fondamentale funzione di evocazione, di racconto in una dimensione sospesa, in cui i dettagli, e la loro documentazione, sono gli assoluti protagonisti con tutto il fascino di cui sono carichi. Attraverso loro Pepi celebra a modo suo questo strano museo zeppo di bellissimi incubi: lo fa, per esempio, catturando un sole creato da un groviglio di fili metallici nella stanza «Su barca di carta m'imbarco» di Maria Lai, o le forme spigolose di «Trinacria» di Mauro Staccioli, nella camera che somiglia a un alveo uterino, con l'imponente scultura triangolare rossa al centro, o sperimentando l'«Energia rossa» di Maurizio Mochetti, o muovendosi ne «La stanza del profeta» con quel labirinto di specchi che sottrae orientamento, o lasciando dialogare interni ed esterni. «Niente di uguale si vede da una porta all'altra», spiega l'autore. Capisci che è il colore ad attrarlo. Continua: «Trovi, oltre ogni soglia, una storia, un gioco di ossessioni, un pensiero, una idea del mondo. Una nicchia di luce, un riflesso di rosso su rosso di una porta, guizzi di blu rischiarati da un lampo di sole, bagliori che sfondano muri e percorsi metallici. Pietre bianche che cambiano segno in una moltitudine di trasparenze». E poi i verdi, l'azzurro, ma anche il buio e la penombra: ogni stanza realizzata da pellegrini dell'arte, da cercatori non d'oro ma di bellezza arrivati fin qui, costituisce per Giovanni Pepi un monolite di rara intensità non deformato dall'affanno, dalla smania del fare e dell'apparire, della corsa senza meta. Lui disegna quaranta «paesaggi» diversi, nuovi mondi che nascono, fino a che, a un certo punto, smetti di sentire lei (la stanza), e cominci a vedere loro (le foto), naturale prosecuzione fatta di cromie e riflessi, emozioni e sentimenti che convivono nello stesso scatto.
Roberto Gervaso approfondisce il concetto nel suo testo sulla mostra: «Giovanni ha un terzo occhio, con il quale, attraverso la macchina fotografica digitale o tradizionale (quante ne hai?) vede quello che noi non vediamo, sente quello che noi non sentiamo, aspira a quello cui noi non aspiriamo, s'ispira a quello che non ispira noi. I suoi colori appartengono a una tavolozza fantasmagorica e ipnotica. I suoi scatti sono pennellate che trascendono il reale senza evadere dai suoi confini, perché li dilatano, imprimendo il sigillo, il marchio di un artista. La mostra di Tusa sia per lui il prologo a una sfida cosmopolita».
L'intenso programma prevede, tra gli appuntamenti, un tour guidato delle camere d'arte dell'Atelier sul Mare e la visita alla «Piramide 38° parallelo», posta da Staccioli a sentinella del territorio di Motta d'Affermo, in quello stesso parallelo sul quale, nell'altro emisfero, passa il confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. È qui che, come ogni anno, il 22 giugno si svolgerà il candido «Rito della luce», con la scalata fisica e spirituale dei partecipanti e le performances degli artisti. Perché qui c'è il tempo per la preghiera, a un qualsiasi dio. E per il silenzio.
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