PALERMO. All’Ordine degli Architetti di Palermo la prima della serie di Lectio Magistralis che prevedono nei prossimi mesi interessanti incontri, curati da Mario Chiavetta, con importanti protagonisti dell’architettura e del design italiani. Abbiamo incontrato l’architetto Alessandro Anselmi, fondatore negli anni ’60 del Grau, il Gruppo romano architetti urbanisti, esponente illustre dell’architettura in Italia. Gli chiediamo qual è la temperatura dell’architettura nel nostro Paese oggi, e lui risponde con sincerità di essere un po’ pessimista al riguardo: “La crisi non è soltanto economica, ma investe anche la ‘qualità’ dell’architettura, sempre più intesa come oggetto secondario e tiranneggiata dagli interessi economici”.
Emerge una professione profondamente in crisi, dove essere architetto non significa più esercitare una professione “liberale” bensì prestare una fornitura di servizi. Si è persa del tutto quella “poesia” del mestiere oggetto di una vasta letteratura.
Parlando dell’Italia e della Sicilia in particolare, Anselmi sottolinea come lo strapotere delle imprese abbia via via soffocato la creatività del progetto a svantaggio della qualità dell’abitare. Città come Agrigento, che hanno una storia architettonica straordinariamente importante, appaiono selvaggiamente deturpate dall’abusivismo e dalla nascita di quartieri periferici privi di qualsiasi identità urbana. Accanto a questo l’Architetto denuncia una politica per l’architettura carente ed inefficace, incapace di stare al passo con alcune realtà europee e soprattutto incapace di favorire l’inserimento delle giovani generazioni, tagliate fuori dai concorsi e dai grandi appalti.
Ne deriva la perdita di quella funzione simbolica dell’architettura legata allo sviluppo delle città, portatrice in un passato non troppo remoto di un’abitudine a concepire e progettare ambienti creati per il benessere dell’uomo e per il decoro delle città stessa. Basta pensare a Palermo, Roma e alle molte città del Paese dove la radicata stratificazione storico-architettonica dimostra come “un certo modo di fare architettura” avvii quel processo di riconoscimento della libertà intellettuale della professione quale valore essenziale di civiltà davvero che possano realmente definirsi democratiche.