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Parla Cecilia Sala: «In isolamento non dormivo, volevo un libro per dimenticare»

Durante la prima notte non ha chiuso occhio «per la gioia e l’eccitazione», mentre quella precedente era rimasta sveglia perché segnata «dall’angoscia». Dopo 21 giorni di detenzione nel famigerato carcere di Evin a Teheran, Cecilia Sala racconta la sua liberazione, le sue paure e le sue angosce, l’abbraccio con le persone che le vogliono bene, il suo ritorno a casa.
Ore di «confusione e di felicità» vissute con i genitori e con il compagno Daniele Rainieri. «Sto bene, mi devo riabituare, mi devo riposare ma non pensavo di essere liberata così presto», ha raccontato a Mario Calabresi, direttore di Choramedia, nella puntata di Stories, il suo podcast, nella quale ha ricostruito il suo drammatico arresto e i giorni trascorsi in isolamento. Giorni di tensione fino alla svolta, arrivata nella notte tra martedì e mercoledì. «Alle 9 del mattino - ha raccontato la giornalista che lavora anche per il Foglio - una guardia mi ha detto che sarei stata liberata». E poche ore dopo era in volo verso l’Italia.

La corsa sulla pista d’atterraggio per abbracciare il suo compagno, la fine di un incubo iniziato il 19 dicembre con l’arresto in una stanza di albergo nella capitale iraniana. Nel racconto della Sala il film di quanto vissuto, dei tanti giorni trascorsi senza occhiali, senza potere leggere un libro, con una luce al neon sempre accesa e una piccola finestra da cui arrivava uno spiraglio di sole. «L’Iran era il Paese dove più volevo tornare - esordisce -, dove c’erano le persone a cui mi sono più affezionata» e quel «viaggio era iniziato per dare voce a queste persone». Nel racconto, Cecilia sottolinea che mai le è stato spiegato perché era finita in una cella, ma subito ha collegato il suo caso a quello dell’ingegnere Mohammad Abedini Najafabadi. «Ho pensato che potessero avere l’intenzione di usarmi per quello - spiega -. Avevo chiara questa ipotesi e pensavo fosse uno scambio molto difficile».

Il giorno prima dell’arresto l’intervista con la comica Zeinab Mousavi, arrestata dal regime per gli sketch di uno dei suoi personaggi. «Le avevo chiesto di come ci si sente ad essere detenuta in una cella, in isolamento. Mi aveva raccontato - ha detto - che era riuscita a ridere ogni tanto in quella cella, che gli erano venute in mente delle battute». E anche lei è riuscita a ridere, ma solo due volte in 21 giorni. «Quando ho visto per la prima volta il cielo. E per un uccellino che faceva un verso buffo». Per il resto, angoscia e paura. «Il silenzio è il nemico in quel contesto - sono le parole di Cecilia - e in quelle due occasioni ho riso e mi sono sentita bene. Mi sono concentrata su quell’attimo di gioia, ho pianto di gioia».

La giornalista conferma il duro regime a cui è stata tenuta nei primi giorni. «La cosa che più volevo era un libro, immergermi nella storia di un altro che non fosse la mia. Fino agli ultimi giorni - aggiunge - non ho avuto occhiali o lenti a contatto, neanche una penna per scrivere: ho chiesto il Corano perché pensavo ci fosse una edizione in inglese ma non mi è stato dato». Nessun materasso o cuscini. «Avevo una coperta e mangiavo molto riso, lenticchie e carne». Ma il «problema non era mangiare, piuttosto dormire», ripete la 29enne rivelando di essere stata interrogata tutti i giorni dall’autorità nelle prime due settimane di detenzione. «Mi accusavano di tante azioni illecite compiute in tanti luoghi diversi» ma «non è stata mai minacciata la mia incolumità» anche se «nella mia testa ho pensato che mi avrebbero potuto uccidere».

Il 7 gennaio all’improvviso le condizioni sono migliorate: Cecilia è stata portata in una cella più grande, con un un’altra detenuta. «Quando mi hanno detto che sarei stata libera non ci ho creduto, ma poi ho pensato a come dirlo a lei, a Farzanè la mia compagna di cella. Con lei c’è stato un abbraccio molto potente».
Quanto al suo futuro, la giornalista ha escluso un suo ritorno in Iran, «Paese che amo moltissimo».

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