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«Spazzate via le speculazioni sulla vita di Sharon e di Sergio»: parla Bruno Verzeni, il papà della barista uccisa a coltellate

Svolta nelle indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Bergamo hanno fermato la notte scorsa Moussa Sangare, 31 anni, nato a Milano, cittadino italiano di origini maliane che vive in una casa occupata a Suisio. È lui l’uomo in bicicletta ripreso da più telecamere in via Castegnate poco prima dell’una di notte, quando la giovane donna veniva uccisa in quella strada di Terno d’Isola, nella Bergamasca. Su di lui negli ultimi giorni si erano concentrati gli inquirenti. Prima in una breve dichiarazione, poi durante un interrogatorio assistito dall’avvocato Giacomo Maj, Sangare ha reso una «piena confessione».

«Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa. Sentivo l’impulso di accoltellarla». «Si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, poteva essere chiunque di noi», ha detto la procuratrice di Bergamo Maria Cristina Rota, spiegando che «tra i due non c’era nessuna relazione, nessun movente razziale o terrorismo od odio religioso» e che a Sangare è stata contestata la premeditazione «perché è uscito di casa con quattro coltelli, aveva l’intenzione di colpire». Il coltello con cui l’avrebbe uccisa è stato trovato grazie alle informazioni date dal fermato, che l’aveva sepolto «sull’argine del fiume nella zona di Medolago». Per arrivare a lui, come spiegato dagli inquirenti, è stata decisiva la collaborazione e la testimonianza di due cittadini stranieri».

«Siamo sollevati perché sono state spazzate via le speculazioni sulla vita di Sharon e di Sergio», è la prima reazione di Bruno Verzeni (nella foto con la moglie), che, commosso, ha letto un comunicato stampa nel giardino della villetta dove dal giorno del delitto vive Sergio Ruocco, che sognava di sposare la giovane barista e avere dei figli con lei.

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