Pagando la sanzione dell’Antitrust da oltre un milione di euro, versando già nei mesi scorsi più o meno la stessa cifra all’ospedale Regina Margherita di Torino e, infine, rinunciando al ricorso al Tar, Chiara Ferragni ha chiuso il capitolo amministrativo sul caso della presunta pubblicità ingannevole legata alle vendite del pandoro «Pink Christmas». Una conclusione che oggi è stata certificata da due sentenze di pura procedura. Il Tribunale amministrativo del Lazio, infatti, ha preso formalmente atto del ritiro dei ricorsi di Fenice srl e Tbs Crew srl, le due società dell’influencer, dichiarandoli «estinti». A questo punto resta pendente solo il ricorso della Balocco spa, che lo scorso dicembre è stata condannata a pagare 420 mila euro. Nel frattempo, l’imprenditrice, che ha chiuso la sua relazione con Fedez, ha messo sul piatto anche 1,2 milioni di euro a inizio luglio per definire, sempre davanti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, pure la vicenda, simile a quella dei dolci natalizi, delle uova di Pasqua-Dolci Preziosi. Alle vendite in questo caso era associata un’iniziativa benefica a favore dell’impresa sociale «I Bambini delle Fate», a cui ora è stata destinata quella cifra. «Un contributo economico volontario, che è quindi una donazione e non una sanzione», ha chiarito la stessa Ferragni. Resta in piedi, invece, il fronte penale, ossia l’inchiesta dell’aggiunto di Milano Eugenio Fusco e del pm Cristian Barilli che vede l’influencer indagata per truffa aggravata, assieme ad altri, tra cui l’ormai ex collaboratore e manager Fabio Damato. Dopo aver ricevuto un’informativa finale con le analisi del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza e aver ascoltato diversi testimoni nelle scorse settimane, gli inquirenti dopo la pausa estiva, tra fine settembre e ottobre, dovrebbero notificare gli avvisi di conclusione delle indagini, in vista di un’eventuale richiesta di processo. E solo per i casi pandoro e uova, non per altri, come Oreo e bambola Trudi, di cui si era parlato nei mesi scorsi. Agli atti dell’indagine milanese erano finite anche le dure valutazioni della sostituta pg della Cassazione Mariella De Masellis, chiamata a sciogliere un nodo giuridico di competenza. Per la pg, infatti, Ferragni avrebbe ottenuto un profitto «ingiusto» con «l’inganno» nei confronti dei consumatori, che avrebbero subito un «duplice» danno, perché indotti sia a fare una scelta d’acquisto attraverso «un messaggio pubblicitario manipolatorio», sia a pagare un «prezzo maggiorato». E lei, tra l’altro, ne avrebbe ricavato pure un guadagno «derivante dalla rappresentazione di sé associata all’impegno» per «un progetto benefico»: un rafforzamento della sua immagine sui media e un “accresciuto consenso» con «incrementi nei cachet accordati dai partner commerciali». Dopo la chiusura dell’inchiesta, i legali potranno studiare le carte che saranno depositate e così valutare, assieme all’imprenditrice, quali mosse compiere: se affrontare un eventuale processo, con tutto il conseguente can-can mediatico, puntando all’assoluzione nel merito o se scegliere la via più rapida e definitiva di un patteggiamento, tenendo conto anche dei soldi già donati da Ferragni, la quale potrebbe così concentrarsi sul rilancio economico e di immagine.