«Era un debito che la Repubblica aveva verso i suoi martiri. Il 16 gennaio di un anno fa l’abbiamo saldato». A un anno dall’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss stragista di Cosa nostra, Maurizio de Lucia, il procuratore di Palermo che, insieme all’aggiunto Paolo Guido, ha coordinato il blitz che ha messo fine alla latitanza del padrino di Castelvetrano, ricorda un giorno ormai entrato nella storia del Paese. «Dovevamo onorare i tanti morti nella lotta alla mafia e questo era uno dei modi migliori di farlo», dice.
Dalla cattura del capomafia trapanese il lavoro dei magistrati di Palermo non è certo finito. «C’è ancora tanto da fare per ricostruire 30 anni di vita alla macchia di Messina Denaro - spiega de Lucia - Finora abbiamo arrestato e stiamo processando nove dei favoreggiatori che l’hanno coperto negli ultimi tempi, ma la rete è fitta. D’altronde se così non fosse stato, non sarebbe rimasto latitante tanto tempo. Il lavoro di identificazione dei fiancheggiatori e soprattutto di raccolta delle prove a sostegno delle accuse è complesso».
«Poi c’è il versante delle ricchezze - prosegue il magistrato - Finora nei covi dell’ex latitante e nelle abitazioni dei suoi solo di denaro contante abbiamo sequestrato 800mila euro . Una cifra grossa, ma una goccia nell’oceano delle ricchezze accumulate e ben occultate anche grazie ai prestanome. Le indagini stanno cercando di ricostruire i flussi di denaro e puntano sugli imprenditori amici o su quelli che l’hanno sostenuto».
E ancora molto da fare c’è anche nella individuazione dei nascondigli del boss. «Le indagini - dice il procuratore - ci raccontano che la sua presenza a Campobello di Mazara non è stata né episodica né di breve durata». Il padrino avrebbe vissuto nel paese dell’ultimo covo dalla fine degli anni ‘90 spostandosi da lì in mezza Italia e in Francia, Austria e altri Paesi europei. All’appello manca ancora però il nascondiglio in cui Messina Denaro potrebbe aver conservato computer e archivi.
Ma come è potuto passare inosservato per anni, in un piccolo paese, uno tra i maggiori ricercati italiani? Si può parlare di omertà diffusa? «Diciamo che molti si sono girati dall’altra parte - risponde il magistrato - Alcuni per paura, altri per un clima di contiguità che non è certo nuovo in quelle zone».
Dopo l’arresto del capomafia quale Cosa nostra abbiamo davanti? «Premetto che, come detto più volte - risponde il Procuratore - Messina Denaro non era il capo della mafia, ma era a capo della mafia trapanese. Ovviamente per carisma e spessore criminale e storia familiare aveva un enorme peso, ma i clan palermitani non avrebbero mai accettato al loro vertice uno di fuori provincia. Al momento è in atto un tentativo di ricostituire gli elementi base che hanno consentito a Cosa nostra di essere forte e resistere nel tempo come un vertice unico. Probabilmente si sta ’selezionandò la nuova "classe dirigente" e a noi tocca individuarla con tempestività. La sfida è questa».
La mafia sente la crisi economica? «Sì - spiega il capo dei pm - e sta cercando di tornare ricca rientrando in un settore strategico come quello dei traffici di droga in accordo con i clan calabresi».
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