Palermo, i mafiosi di Resuttana chiedevano il pizzo ma gli imprenditori denunciavano senza pagare
C'erano anche le estorsioni tra le attività principali degli uomini della cosca di Resuttana che sono stati arrestati nell'inchiesta condotta dalla Squadra mobile di Palermo e dalla sezione investigativa della Sco, su delega della Direzione distrettuale antimafia. A denunciare la richiesta di pizzo ai carabinieri era stata la titolare di una ditta di costruzioni che, a dicembre dell'anno scorso, aveva un cantiere aperto in via Laurana. L'imprenditrice aveva riferito che un uomo con una felpa, a bordo di un ciclomotore elettrico, si era avvicinato a un operaio rivolgendogli le seguenti parole: «Digli al tuo principale che si cerca l'amico». Un chiaro segnale per costringere la titolare della ditta a mettersi in regola, così come imponevano i mafiosi. Il giorno dopo, però, la donna aveva presentato un'altra denuncia, questa volta alla Squadra mobile, perché lo stesso uomo si era recato al cantiere per la seconda intimidazione: «Digli al tuo capo che li guardiamo», era stata la minaccia indirizzata a un dipendente in modo che potesse portare l'ambasciata a chi di dovere. Secondo i magistrati della Dda, l'esecutore materiale delle richieste estorsive sarebbe stato Antonino Fontana, uno degli indagati «il quale aveva evidentemente agito su mandato dei pregiudicati mafiosi Carlo Giannusa e Mario Napoli (nella foto), componenti di sicuro rilevo della famiglia mafiosa di Resuttana», scrive il gip Fabio Pilato nella sua ordinanza. I mafiosi, però, si lamentavano perché nonostante le loro pressioni e gli avvertimenti nessuno degli imprenditori si sarebbe presentato per pagare: «L'altro giorno ci sono andato, ma non viene nessuno», diceva Fontana a Napoli, entrambi finiti in manette nel blitz.