Erano consapevoli che stavano uccidendo Willy, ma non si sono fermati. Calci e pugni su un corpo a terra. Un’azione rapidissima iniziata con un violento calcio al petto. Un colpo sferrato da Gabriele Bianchi, sfruttando la sua conoscenza delle arti marziali e utilizzando un palo come «catapulta» per renderlo ancora più devastante. In 74 pagine i giudici della Corte d’Assise di Frosinone ricostruiscono, in modo minuzioso, gli ultimi istanti di vita di Willy Monteiro Duarte, pestato a morte la notte del 6 settembre del 2020 a Colleferro, comune di 20 mila abitanti della provincia romana, al confine con quella di Frosinone. Ai quattro del branco i giudici, il 4 luglio scorso, hanno inflitto pene pesantissime: due ergastoli per i fratelli Gabriele e Marco Bianchi, 23 anni a Francesco Belleggia e 21 Mario Pincarelli. Una morte arrivata al culmine di una banale lite verbale, «degenerata» con l’arrivo dei Bianchi autori di un blitz violento, di «furia cieca». L’irruzione dei Bianchi «sulla scena di una disputa sino ad allora solo verbale, e comunque in fase di spontanea risoluzione, fungeva da detonatore di una cieca furia - scrivono i magistrati -. I quattro si compattavano a falange ed avanzavano in modo sincrono, impattando contro il corpo del povero Willy che si era appena intromesso per capire cosa stesse accadendo». Secondo i magistrati «è proprio in quel momento che egli veniva colpito da Gabriele Bianchi con un violentissimo calcio frontale al petto portato con tecnica da arti marziali che lo sbatteva contro un’auto in sosta. Ed il tentativo del povero ragazzo di rialzarsi veniva respinto dapprima con un pugno del medesimo Gabriele Bianchi, mentre il fratello con un calcio neutralizzava il tentativo del Cenciarelli di correre in aiuto di Willy e, poi, da calci e pugni inferti da tutti e quattro gli imputati, finanche mentre il ragazzo era inerme a terra; il tutto nel brevissimo volgere di pochi secondi». Per i magistrati è proprio in quel calcio l’inizio dell’azione che ha portato alla morte del diciannovenne. «È inequivocabilmente indicativo - sintetizzano i giudici - del dolo omicidiario. Gabriele sapeva di sferrare contro il povero Willy un colpo che, in quanto vietato dalle regole delle arti marziali, era potenzialmente mortale». In definitiva, «l'azione delittuosa principiava con un calcio frontale, diretto contro un punto vitale del corpo umano con estrema violenza». I magistrati arrivano alla conclusione che tutti gli imputati «avevano la percezione del concreto rischio che attraverso la loro azione Willy potesse perdere la vita, e nondimeno hanno continuato a picchiarlo». Per la Corte d’Assise nel comportamento dei Bianchi non c'è alcuna prova di «aver compiuto alcuna revisione critica del loro operato che denoti l’inizio di un percorso di cambiamento e maturazione». Una personalità «allarmante» confermata anche dalle foto trovate sui loro cellulari con animali agonizzanti e da un video presente in atti nel quale Gabriele Bianchi «con estrema violenza, profferisce minacce con frasi anche del tipo “ti pio l’anima, ti tolgo la macchina”».