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Il riscatto di Marina, il carcere era la vita di prima: ha ripudiato il passato e vive in casa famiglia

Marina era una ladra. Ha fatto del male a tanti, portando via ricordi e pezzi di vita. Ha pagato. Marina ora è libera. E si è lasciata alle spalle il suo passato. La storia di Marina è l’esempio concreto di come i percorsi alternativi al carcere possano funzionare; di come i soldi stanziati dallo Stato e le energie spese da centinaia di persone che ogni giorno si dedicano ai detenuti non siano stati buttati. Marina ha 4 figli, è stata arrestata nel 2011 e portata a San Vittore, da dove è poi stata trasferita all’Icam con il bimbo più piccolo. C’è rimasta un anno e mezzo e quando il bimbo ha compiuto tre anni si sono dovuti separare: lui in comunità, lei in carcere, a Bollate, poiché il regolamento attuativo della legge del 2011 non era ancora entrato in vigore. Ma nella sua testa era già scattato qualcosa e così, d’intesa con il magistrato e gli assistenti sociali, è iniziato un percorso che nel 2015 l’ha portata a riunirsi con il suo bambino, nella casa famiglia Ciao. Dove vive ancora con Antony, il più piccolo dei quattro. “Prima che io entrassi in carcere la mia vita era in un campo, facevo la vita di un rom, andavo a fare i furti negli appartamenti, per noi era come un lavoro lì, pensavo fosse una cosa giusta» racconta guardandoti dritto negli occhi. Mentre era in carcere, il padre dei suoi figli ha avuto una storia con un’altra donna, che è rimasta incinta. E’ stata l’ultima goccia che ha spinto Marina a fare il salto. “In tanti dicono che è pesante passare dal carcere. A me invece mi ha fatto crescere. Perché alla fine i reati che io commettevo facevano del male alle persone e quella non è vita, perché sono delle persone che soffrono. Ho capito che quando prendevo un oggetto io non conoscevo il valore che aveva per quella persona, non so cosa fosse, se era qualcosa di un caro che era morto o di una persona a cui tieni. Poi piano piano lo scopri e l’ho capito anche io quando mi hanno derubato. Ho capito che alla fine si fa solo del male alle persone». Così questa ragazza ha scelto di non fare più quella vita, di ripudiare la sua cultura, «perché alla fine nella cultura rom sei obbligato ad andare a rubare perché è l’unico modo per vivere“ Marina queste scelte le ha pagate. I due figli più grandi hanno deciso di non seguirla e sono rimasti con il padre. La terza, una ragazza 13enne, vive in una comunità e il percorso per portarla con lei è appena iniziato ed è ancora lungo. Ma non ha alcuna intenzione di tornare indietro. E le sue parole sono pietre. «E’ tutta un’altra vita fare questa vita che ho scelto e non quell’altra. Il mio vero carcere era lì dove ero, non era il carcere quando ero dentro, io ero più libera in carcere che da mio marito, che sarebbe il padre dei miei figli. Io non conoscevo il mondo, ora sono libera di uscire, di fare quello che voglio, soprattutto ho imparato il mondo del lavoro, io lavoro. Tornare a casa e avere la soddisfazione che i soldi che io guadagno sono sudati ma non sono soldi facili». Non tutte le donne che passano per il carcere riescono a fare il percorso di Marina. «Purtroppo - racconta lei stessa - ci sono tante persone che quando vengono messe dentro dicono che vogliono cambiare vita però una volta che mettono fuori il piede non ce la fanno, anche tante mamme là dentro mi dicevano di volerlo fare ma hanno paura di farlo perché io sono una un pò raro che ho fatto questa scelta. Penso che alla fine devi avere il coraggio di farlo». Lei l’ha trovato, perché non è stata lasciata sola. «Io ho scelto questa strada giusta - ripete orgogliosa - e non ritorno più indietro».

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