Tutto cominciò nel luglio 1860. Garibaldi non aveva ancora concluso la sua operazione e già Luigi La Porta, segretario della dittatura, poneva l’esigenza di costituire un «puro ed onorato organo» in grado di «potere essere salvaguardia e tutela del popolo». Era il primo atto della nascita dei carabinieri in Sicilia, che sarebbe stato formalmente creato con un decreto del prodittatore Antonio Mordini dell’8 ottobre 1860.
Si chiamavano Carabinieri reali di Sicilia, un «corpo politico-militare» affidato al comando del colonnello Angelo Calderari. Quella storia lunga 160 anni, che si intreccia con la storia d’Italia, è ripercorsa in un volume della Fondazione Federico II, 160 anni di storia e di cultura. La Real Arma dei Carabinieri e la Sicilia, presentato alla caserma Carlo Alberto Dalla Chiesa, non a caso intestata a una delle figure più emblematiche dell’Arma: arrivò in Sicilia nel 1949, primo incarico a Corleone, fu assassinato nel 1982.
Dopo un breve intervento di Gianfranco Micciché, presidente dell’Assemblea regionale siciliana e della Fondazione Federico II, del libro hanno parlato i generali Riccardo Galletta (capo del comando interregionale Sicilia e Calabria) e Rosario Castello (comandante della Legione dei carabinieri di Sicilia), e Patrizia Monterosso, direttrice generale della Federico II. Ha moderato Elvira Terranova. ù
Un libro che è un «giusto riconoscimento all’impegno profuso in campo nazionale e internazionale, contraddistinto da una complessa attività di difesa della legalità in favore dei cittadini», ha detto Miccichè che ha aggiunto: «In questa legislatura la Presidenza dell’Ars e la Fondazione Federico II, diretta da Patrizia Monterosso, hanno instaurato un ottimo rapporto di collaborazione con le Istituzioni, dall’esercito ai carabinieri, dal sindaco al prefetto. È un mio motivo di orgoglio, che ha consentito di dar vita a una nuova stagione nei rapporti con i rappresentanti della vita pubblica». Le vicende storiche dell’Arma in Sicilia sono raccontate con il contributo di storici, studiosi e dello stesso generale Castello che hanno utilizzato per le loro ricerche preziosi e inediti documenti di archivio. È stata così ricostruita una presenza capillare che si è confrontata con il brigantaggio, la rivolta del «Sette e mezzo» del 1866, la criminalità mafiosa, il banditismo del secondo dopoguerra. E per difendere la legalità è stato pagato un prezzo altissimo: sono stati 511, ha ricordato il generale Castello, i carabinieri che hanno perso la vita con atti eroici ma anche e soprattutto con i comportamenti quotidiani ricordati da Patrizia Monterosso come espressione della presenza dello Stato nei momenti più critici. Un «microcosmo che è parte della società» lo ha definito il generale Castello. Questo ruolo sociale dei carabinieri è raccontato anche attraverso l’azione di tutela del patrimonio storico-artistico siciliano che nel tempo ha subito ferite profonde. Proprio questa missione di salvaguardia culturale è raccontata attraverso il recupero di preziosi reperti archeologici come la Dea e gli acroliti di Morgantina, la Phiale di Caltavuturo e i tesori di monete antiche. È una storia che, cominciata 160 anni fa, ancora continua.
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