È stato assolto in secondo grado il dirigente della Regione siciliana, Antonio Lo Presti accusato di danno erariale e condannato in primo grado a risarcire la Regione con 107 mila euro. Lo ha deciso la Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti. Lo Presti è difeso dagli avvocati Alessandro Dagnino e Ambrogio Panzarella. La procura contabile ha contestato al dirigente il danno erariale per avere ricoperto incarichi esterni all’amministrazione.
Il doppio incarico contestato
Nello specifico a Lo Presti, dirigente del Servizio Farmaceutico presso l’assessorato alla Sanità, era stato contestato di avere ricoperto il ruolo di amministratore unico della Società Servizi Riabilitativi, fino a qualche anno fa partecipata dall’Asp di Messina che ha poi ceduto le quote. Al momento della cessione della partecipazione pubblica, secondo l’accusa, Lo Presti avrebbe omesso di comunicare il suo incarico violando l’obbligo di esclusività nel rapporto di lavoro. Con la sentenza di primo grado era arrivata la condanna al pagamento di 107mila euro: la metà dello stipendio percepito dal dirigente nel periodo fra il 16 dicembre 2013 (data di dismissione delle partecipazione pubblica) e il 27 aprile 2016, data in cui Lo Presti si è dimesso avendo portato a compimento l’incarico di approvare il bilancio 2015. La metà dello stipendio sarebbe stato dunque il danno patito dalla Regione per le energie lavorative sottratte dal doppio incarico e dal lavoro in uno stato di incompatibilità potenziale.
Sentenza ribaltata in appello
Adesso è arrivata la decisione di secondo grado. Lo Presti, scrivono i giudici «ha sempre regolarmente effettuato le proprie prestazioni lavorative in qualità di dirigente della Regione Siciliana e non s’è mai arbitrariamente assentato dall’ufficio; non è stato ipotizzato nè tantomeno provato dalla procura che abbia effettivamente distratto parte delle proprie energie lavorative dall’espletamento delle funzioni assegnategli o che abbia arrecato disservizio all’amministrazione d’appartenenza o che abbia reso prestazioni qualitativamente o quantitativamente insufficienti o, comunque, inadeguate rispetto alle mansioni istituzionali di pertinenza». Inoltre, «non risulta provato - si legge in sentenza - che abbia mai, anche soltanto occasionalmente, operato, nel periodo in cui ha ricoperto la carica di amministratore della S.S.R. s.p.a., in conflitto d’interessi, anche meramente potenziale, con l’Amministrazione regionale, che, peraltro, era pienamente a conoscenza di tale incarico e delle peculiari finalità per il perseguimento delle quali era stato conferito».
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