«La tua frase ti ha rovinato»: nuove accuse al processo per il giovane ucciso in discoteca a Palermo
«Quella tua dichiarazione ti ha rovinato...». «Mamma, non iniziamo a costruire castelli in aria». Mentre si stava per svolgere la nuova autopsia sul povero corpo massacrato di Aldo Naro, gli inquirenti ascoltavano le conversazioni degli indagati per omicidio. Registrazioni che ieri mattina sono comparse all’udienza preliminare, il prossimo 8 marzo il giudice Rosario Di Gioia deciderà se rinviare a giudizio per omicidio i tre buttafuori, Gabriele Citarrella, Pietro Covello e Francesco Troia, come chiede il pm Enrico Bologna, sospettati di avere partecipato al pestaggio del giovane medico di San Cataldo, ucciso a Palermo, nella discoteca Goa, la notte di San Valentino, il 14 febbraio del 2015. Sono passati sette anni esatti e per questa vicenda terribile ha pagato sostanzialmente solo un ragazzino, all’epoca dei fatti minorenne, Andrea Balsano, condannato a 10 anni, che ha confessato di avere ucciso da solo il dottore. Ma la famiglia Naro non ha mai creduto a questa presunta verità e con ostinazione ha cercato di fare luce completa su quanto accaduto quella notte ed è riuscita a far riesumare la salma affinché si svolgesse un nuovo esame autoptico. È stata la svolta. I medici hanno confermato che la vittima venne colpito più volte. Uno solo non avrebbe potuto generare una tale emorragia cerebrale e le lesioni ossee. Aldo Naro invece venne letteralmente massacrato, con «una serie molteplici di colpi pluridirezionali - come sottolinearono gli avvocati Salvatore e Antonino Falzone che assistono la famiglia Naro -, sferrati al capo, al collo e alla faccia che provocarono fratture al viso, al setto nasale e alla cervicale». A questi risultati dell’esame, si sono aggiunte prima le dichiarazioni di uno degli indagati, Gabriele Citarella, che ha ammesso pur fra mille contraddizioni di avere colpito Naro quando era già a terra. Lui, operatore di call center, faceva il buttafuori nei fine settimana, per portare a casa 50 euro. E proprio di queste dichiarazioni parlano Citarrella e la madre nelle intercettazioni che costituiscono la novità delle indagini. Non sono a senso unico, cioè non forniscono una lettura chiara di tutta la storia. Uno degli indagati, Troia, parlando con un amico dice di essere del tutto estraneo. E si affida alla «giustizia divina». Le prima registrazione è dell’1 febbraio 2020. Parlano Citarrella e la madre. «Ma c'è quella... purtroppo quella tua dichiarazione fatta là.. che ti ha rovinato, quest'è .. perché se tu non l'avessi fatta quella dichiarazione, non c'era niente contro di te - dice la madre -, si attaccavano al tram, solo che tu, in quell'occasione hai detto delle cose e ti sei accusato di cose che non hai fatto.. quindi, secondo me è su quelle parole che loro hanno agito». Il figlio risponde: «Sì, ma sulle parole puoi basare quello che vuoi.. se non ci sono i riscontri alle parole...». E lei aggiunge: «Sì, ma tanto tu.... come... tu ti accusi di una cosa così grave da solo», e il figlio replica: «Io non mi sono accusato». Ma la madre insiste: «Hai detto che l'hai spinto...», lui risponde «vabbè... ma che cosa... stai zitta». La madre chiude la discussione: «Comunque.. è inutile parlare di cose che non sappiamo, arrivati a un certo punto quello che viene fuori lo legge l'avvocato ed è lui che ti deve aiutare.. ti deve...». Il figlio Gabriele: «Non iniziamo a costruire castelli in aria», la madre conclude: «No, no.. non sto costruendo niente», e il figlio: «No, tu già hai fatto tutto». L’altra conversazione intercettata è del 19 febbraio 2020, proprio il giorno in cui i media danno la notizia dei risultati della nuova autopsia. Sono le 19, a bordo della propria auto Francesco Troia, uno degli indagati, commenta la vicenda con un amico. «Dice “è possibile che sia stata un’unica persona che ha dato più calci”? Dice: “si, non è da escludere”. Dice: “a me interessava questo!” Perché, in realtà, è stato un calcio o due calci dati sempre da quello (letterale: “chiddu”)! Perché quello lo dice: “sono stato (letterale: “fuvu”) io che ho dato ...”, perché quello, cioè, in tempi ... quando ancora non c'era tutta questa situazione, dice: “Ho dato più calci!”». Troia e l’amico probabilmente si riferiscono alle dichiarazioni del buttafuori abusivo minorenne che si è autoaccusato del delitto ed ha detto di avere colpito più volte Naro. Poi la discussione prosegue e Troia parla della notte dell’omicidio. «C'è questo ragazzo (letterale: “picciuotto”,) che è sopra ( “ncapu”) al “guardaroba”, insieme alla sua ragazza. Dice: “sono stato io e la mia raga... la mia ragazza si è accorta, me l'ha detto a me, io sono sceso dal “guardaroba” e ho chiamato a Troia che era fuori” ... quando già la lite era già là, era successo quello ( “chiddu”, ndr) che era successo ... già la lite era cominciata, mi chiama mentre ... quando io sono arrivato già la lite era finita. Cioè, dico: “che cosa volete da me? Minchia, vanno a mettere “nel mezzo” una persona... dico: c'è gente che parla e le cose le dice ... cioè, i testimoni ... sono stati sentiti 30 cristiani, Sà! E nessuno (“nuddu”) dice che io ero là che davo calci (“cavuci”, ndr) o ero là che, che ne so, ero in mezzo a quella situazione là». Troia poi conclude: «Però ci sono riusciti ad arrivare a fare “aprire” un altro processo ... ci sono ... ci sono riusciti. Però, dico, un giorno se la dovranno vedere pure loro con Dio! Ma infatti ... giusto? Se è una “giustizia divina”! Io so di... io so che ho la coscienza a posto da questo punto di vista ... a suo figlio un piede di sopra io non gliel'ho messo ... “tu mi stai facendo “passare” ... mi stai facendo “penare” ...” “tu mi vuoi fare “pagare” una cosa che io” ... mi stai facendo “penare” per una cosa che io non ho fatto!».