Mercoledì 18 Dicembre 2024

Rivelazione di segreto d'ufficio: sarà processato Davigo, uno dei magistrati di Mani Pulite

Piercamillo Davigo

Trent'anni fa con l’arresto di Mario Chiesa, a Milano, prendeva il via l’inchiesta Mani Pulite e oggi uno dei magistrati che allora era in prima linea è stato rinviato a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio. Si aprirà infatti il prossimo 20 aprile a Brescia il dibattimento nei confronti di Piercamillo Davigo, l’ex consigliere del Csm finito nei guai per la vicenda dei verbali dell’avvocato di Augusta Piero Amara su una fantomatica Loggia Ungheria, caso che ha sollevato una bufera tra le fila della magistratura e che ha sullo sfondo le vicende di Eni e il modo (diverso) di condurre le indagini. A deciderlo è stato il gup bresciano Federica Brugnara proprio nel giorno del trentennale di Tangentopoli, occasione per cui Antonio Di Pietro, la toga simbolo di quella pagina di storia, ha consegnato a un post apparso sui social le sua amare riflessioni. Il giudice ha disposto che dovrà essere un collegio a stabilire se - come hanno ipotizzato i pm Donato Greco e Francesco Milanese, con il procuratore Francesco Prete - Davigo abbia davvero rassicurato il pm milanese Paolo Storari, che chiedeva di essere tutelato rispetto alla lamentata inerzia dei suoi capi, di essere persona autorizzata a ricevere quei verbali così delicati e coperti dal segreto istruttorio. Atti che a Davigo sono stati consegnati dal pubblico ministero nell’aprile 2020 e che poi, «violando i doveri» legati alle sue funzioni e «abusando delle sue qualità», avrebbe diffuso ad altri componenti di Palazzo dei Marescialli in modo «informale e senza alcuna ragione ufficiale», si legge nel capo di imputazione. Un’accusa condivisa dal giudice siciliano (di Catania) Sebastiano Ardita, ancora consigliere del Csm e che, ritenendosi danneggiato da quella diffusione, è parte civile nel procedimento ed è pronto a chiedere i danni. «Davigo si difenderà in dibattimento essendo certo della propria innocenza», ha detto il suo legale, Francesco Borasi. Per Storari invece, il suo coimputato che ha scelto il processo con rito abbreviato, è stata chiesta una condanna a 6 mesi, il minimo della pena prevista dal codice. Mentre la difesa, rappresentata dall’avvocato Paolo Della Sala, ha ribadito la «legittimità» della sua condotta compatibile pure con il compendio normativo e «avallata nei comportamenti di altre persone» al Csm, nessuna delle quali «ha sollevato obiezioni formali». In sostanza nessuno ha invitato a formalizzare la pratica Storari. Per lui si deciderà il prossimo 7 marzo. E proprio oggi, giorno dedicato all’anniversario di Mani Pulite, dopo mesi e mesi di silenzio, ha parlato chi con Davigo e Gherardo Colombo, ha indagato sul malaffare fin dalla prima ora. Antonio Di Pietro, adesso avvocato, sulla sua pagina Facebook ha scritto un messaggio che suona un po’ come una sconfitta: «Non è un giorno di festa 30 anni dopo. Sono 30 anni passati ma mi pare che aprendo il giornale ogni mattina sia tutto uguale a prima. Prima di andarmene vorrei mettere tutto in Rete affinché qualcuno un giorno possa leggere, per vedere quella diversa verità rispetto a quel che è stato raccontato». «Sono una vergogna per il Paese - si chiede l’ex magistrato - i ladri, i corrotti, gli evasori fiscali, i mafiosi o chi, come me, li ha scoperti con l’inchiesta Mani Pulite?». «Ci volevano fermare - ricorda ancora -. Si sono messi in azione appena hanno capito che stavamo per arrivare ai piani alti del potere. Mani Pulite è stata fermata, anche perché mentre stavamo indagando sui “bauscia” del Nord, siamo andati a toccare quelli che avevano contatti con la mafia al Sud». Di quel periodo ha parlato lo stesso Davigo, oggi all’Università di Pisa per una tavola rotonda sui 30 anni di Mani pulite: «Tangentopoli emerse non perché arrivarono i magistrati ma perché quel sistema politico fondato sulla corruzione non resse dal punto di vista economico», ha detto. E poi, con un riferimento anche al suo caso personale, ha aggiunto: «Nel nostro ordinamento non esiste un efficace deterrente alla corruzione. Io stesso sono sotto processo, ma a parte che sono innocente, non ho alcuna preoccupazione, perché ho compiuto 70 anni e quindi resterei a casa».

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