Dopo l'operazione “Margherita Due”, che ha smascherato l'utilizzo di falsi prodotti DOP da parte di alcune pizzerie gourmet, il consumatore si interroga su come evitare di cadere nell'inganno di una pizza che non rispetta l'origine e la qualità degli ingredienti scritti nel menù. Riconoscere al gusto se gli alimenti utilizzati sono davvero DOP è difficilissimo: serve un palato raffinato e abituato a mangiare quella materia prima appartenente al circuito tutelato. L'unico modo per avere la certezza dell'origine controllata del prodotto è verificarne la confezione e l'eventuale presenza del marchio DOP. Ci sono però alcune caratteristiche che il consumatore può attenzionare negli ingredienti per valutarne la qualità. A fornirci qualche chicca è Daniele Vaccarella, presidente e fondatore della Sicilian School of pizza, la scuola di pizza siciliana. “Un buon pelato deve avere delle caratteristiche molto riconoscibili, un gusto dolce ad esempio, non manipolato”. Se il gusto viene alterato aggiungendo aromi, scatta quindi un campanello d'allarme: “Non c'è motivo di mettere zucchero in un buon pelato – spiega lo chef palermitano - quando qualcuno camuffa con altri sapori l'alimento principale vuol dire che non è di qualità”. Una buona mozzarella di bufala è facilmente riconoscibile se inserita nella pizza fuori cottura: “se è un buon prodotto la posso riconoscere al morso e al gusto: deve avere un retrogusto acidulo e lasciare dei graffi in bocca”. In cottura la qualità invece è più difficile da apprezzare: “una mozzarella di bufala di bassa qualità la si riconosce subito al gusto fuori cottura – spiega Vaccarella - ma se la metto al forno non è più riconoscibile”. Anche per altri ingredienti, come l'acciuga di Aspra, vale lo stesso ragionamento: “l'acciuga di Aspra è inconfondibile: carnosa, non è esageratamente salata; ma se la metto al forno vado a rovinarne il sapore”. Un prodotto di qualità va esaltato, presentato con le sue caratteristiche, non rovinato da una cottura, quando questa inficia sul suo gusto originale. “Se adopero un prodotto di qualità non lo metto al forno – afferma il maestro pizzaiolo - lo devo esaltare, devo fare in modo che quel prodotto venga valorizzato”. E quando ciò non avviene scatta un altro possibile campanello d'allarme. Non tutto il cibo però perde il sapore che lo contraddistingue se cucinato. “Se metto un carciofo di qualità in cottura – spiega Vaccarella - si sente che il carciofo è buono perché rimane carnoso, lo sento ancora croccante”. Anche il prosciutto crudo di Parma ha delle caratteristiche che lo rendono inconfondibile: “La fetta è larga, ha un colore molto più sul rosso, ci dev'essere il filino di grasso e non dev'essere salato. Il Parma è più dolce, la stagionatura la vedo anche dal taglio del prosciutto, da come viene tagliato. Se non è stagionato non ha sapore”. Più ingredienti ci sono nella pizza, più è facile ingannare camuffando qualche prodotto di bassa qualità con altri sapori. Riconoscere un buon impasto invece è già più facile. L'elemento da valutare è la capacità di sciogliersi in bocca: “Se la cottura è perfetta e l'impasto di qualità lo sento subito – spiega il pizzaiolo palermitano - al morso il prodotto è friabile, si scioglie in bocca, sento il sapore, il gusto delle farine”. Una farina di bassa lievitazione e qualità è invece gommosa o dura da masticare. Infine, per verificare la qualità di una pizza, l'ultimo consiglio dell'esperto è quello di guardarne il prezzo. Un prezzo caro non è garanzia di alta qualità, il troppo economico però è sinonimo di utilizzo di ingredienti scadenti. “Se in una margherita dico di mettere mozzarella di bufala e pelato san Marzano – spiega Vaccarella -, una qualità di pelato DOP campana di cui un cartone di 18 kg costa 32, 35, 38 euro, la pizza non può costare al cliente meno di 7,8 euro”. Se il prezzo è al ribasso, molto probabilmente gli ingredienti della margherita inseriti nel menù non sono stati rispettati.