L'obbligo del green pass in ufficio o la necessità di esibire un tampone positivo fatto scattare la corsa al test. File davanti alle farmacie o ai laboratori di analisi per ottenere il certificato e potersi recare al lavoro. Pur di non sottoporsi al vaccino migliaia di italiani, nelle ultime ore, si sono sottoposti alle lunghe attese e così avverrà ogni due settimane.
Al di là dell'aspetto legale (l'imposizione da parte del governo) e sociale (le code davanti alle farmacie sono di certo una novità), un'altra novità viene rappresentata dal punto di vista sanitario: l'aumento di tamponi per la diagnosi del Covid, per la prima volta, non ha portato a un aumento dei nuovi positivi rilevati.
Rinumeri parlano chiaro: in una settimana (fra il 9 e il 16 ottobre) c'è stato un aumento del 27% del totale dei test, fra molecolari e rapidi, passati da 344.969 a 472.535, e nello stesso tempo la percentuale di positività, calcolata sul totale dei test, si è addirittura ridotta dallo 0,7% allo 0,6%.
È molto probabile, però, non che la circolazione del virus sia effettivamente scarsa ma che la causa del decremento sia da ricercare nel tipo di test cui ci si sottopone.
Il lieve decremento, infatti, pare sia sostanzialmente dovuto a un aumento dei tamponi antigenici, il cui utilizzo ha avito un vero e proprio boom. In una settimana i tamponi rapidi hanno registrato un aumento dal 70 al 75% del totale dei test, con un tasso di positività dello 0.08%.
Il motivo? Tutto dipende dalla diversa "sensibilità" dei test molecolari e dei rapidi. I primi analizzano parti del materiale genetico del virus dopo averle amplificate con la tecnica della reazione a catena della polimerasi; gli antigenici rapidi, invece, cercano le componenti proteiche del virus chiamate antigeni.
Caricamento commenti
Commenta la notizia