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La mafia vuole rialzare la testa e apre le porte agli scappati

Il potere mafioso a Palermo e provincia è ancora forte e sta cercando nuovi equilibri. Per il direttore centrale anticrimine, Francesco Messina, “i tentativi di ricostituire un organismo di vertice autorevole, attorno a un leader carismatico, non hanno avuto grande successo. Tuttavia c'è un notevole sforzo per riorganizzarsi". In città si contano otto mandamenti con 33 famiglie, mentre in provincia ci sono sette mandamenti e 49 famiglie.

La mafia vuole rialzare la testa, nonostante i blitz e le inchieste che hanno colpito diversi mandamenti. I clan di Cosa nostra, non riuscendo a ricostruire la Cupola cui spettava il compito di definire le questioni più delicate, hanno adottato “un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse”. E’ l’analisi contenuta nella relazione della Dia consegnata al Parlamento e relativa al secondo semestre del 2020, nel capitolo dedicato alla mafia siciliana.
Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento Cosa nostra resta egemone e si registrano ripetuti tentativi di una "significativa rivitalizzazione” dei contatti con le famiglie all’estero: le indagini rivelano come i clan hanno “riaperto le porte ai cosiddetti scappati - dicono gli analisti - o meglio, alle nuove generazioni di coloro i cui padri avevano dovuto trovare rifugio all’estero a seguito della guerra di mafia dei primi anni Ottanta”.
Riguardo alla mappa del potere, la città di Palermo è divisa in otto mandamenti con 33 famiglie, mentre in provincia ci sono sette mandamenti e 49 famiglie. Negli ultimi anni la loro competenza territoriale appare meno rigida variando in base a equilibri di potere mutevoli e ai conseguenti accordi contingenti. In assenza di un organo sovraordinato, la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano perlopiù esercitate attraverso relazioni e incontri di anziani uomini d’onore. Per il direttore centrale anticrimine, Francesco Messina, “i tentativi di ricostituire un organismo di vertice autorevole, attorno a un leader carismatico, non hanno avuto grande successo. Tuttavia, c’è uno sforzo continuo di riorganizzarsi per sopravvivere, mediante l’individuazione di nuove figure di riferimento che, pur soggette a un turnover talvolta serrato in ragione delle vicissitudini giudiziarie, riescono comunque a garantire al sodalizio una continuità di azione criminale che si risolve, ancor oggi, in un serio vulnus per l’ordine sociale”.

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