Quarant'anni fa, il 13 maggio 1981, l'attentato che rischiò di uccidere Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Alle 17.19 il pontefice, in piedi sulla "papamobile" scoperta, sorride alla folla che in piazza San Pietro: sta partecipando all'Udienza. All'improvviso due colpi di pistola, Wojtyla si accascia sul sedile. Il primo proiettile colpisce l'addome, il secondo la mano. Nei minuti più delicati del Papato che cambiò la storia del mondo, Karol Wojtyla viene trasportato al Policlinico Gemelli, cambiando anche la storia dell'ospedale dell'Università Cattolica. "Certamente non fu fatta la piena chiarezza sull'attentato al Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia la commissione Mitrokhin del Parlamento italiano ha scoperto qualche verità", che è a conoscenza di chi vi ha lavorato. Lo dice l'attentatore di papa Wojtyla, il turco Mehmet Ali Agca, invitando a tale proposito a "interrogare il senatore Paolo Guzzanti", che guidò la commissione sul Dossier Mitrokhin dal 2002 al 2006. "Inoltre il maggiore del Kgb Victor Ivanovich Sheymov aveva già confessato qualcosa sull'attentato al Papa polacco. Ma è la memoria che manca a molti, in un mondo naturalmente pieno di eventi", aggiunge l'ex '"lupo grigio" che vive libero in Turchia dopo la condanna e la grazia in Italia per l'attentato e dopo aver scontato in patria un'altra pena per omicidio. Ed è proprio Paolo Guzzanti a spiegare che Ali Agca, subito dopo l'attentato del 13 maggio 1981 a papa Giovanni Paolo II, confessò tutto ai magistrati italiani che lo sentirono, dando l'esatta ricostruzione dell'essere stato assoldato come killer dai servizi bulgari, ma poi - intimidito in carcere da due magistrati militari giunti dalla Bulgaria - si diede per pazzo e la sua versione non poté più essere utilizzata. "E' molto semplice - commenta Guzzanti la dichiarazione di Agca -. Noi abbiamo sentito tutti i magistrati che si sono occupati del caso, da Rosario Priore e Ilario Martella in poi, che ci hanno detto che all'epoca non avevano potuto fare di meglio. E abbiamo fatto anche due expertise, una voluta dalla maggioranza e una dall'opposizione, che hanno certificato come colui che era nella famosa fotografia con Agca in Piazza San Pietro fosse in effetti e senza ombra di dubbio Sergei Antonov", l'uomo dei servizi segreti bulgari in Italia. Una sorta di "pistola fumante", la ritiene Guzzanti, sulla "pista bulgara" dell'attentato al Papa. "Le cose - afferma - erano andate esattamente come aveva confessato Agca all'inizio. Lui raccontò tutto, di essere stato assoldato dai bulgari per compiere l'attentato in Piazza San Pietro. E questo, per quanto riguarda gli aspetti organizzativi e logistici, fu poi confermato anche dall'ambasciatore del Paese ex-sovietico, in epoca successiva alla caduta del Muro, che riferì come un camion messo a disposizione dai bulgari riportò dopo l'attentato i complici di Agca all'Ambasciata in Via dei Monti Parioli". "Quindi Agca confermò tutto subito - insiste Guzzanti -, è tutto a verbale, ma dalla Bulgaria arrivarono due giudici militari che chiesero ai colleghi italiani di parlare con lui in carcere: uno dei due rimase con Agca, e dopo quel colloquio lui cominciò a fare il pazzo, a dire di aver visto Gesù e l'Apocalisse. Era stato chiaramente intimidito e la sua prima versione per i magistrati italiani non poté più avere valore legale. Fece persino verbalizzare che quello che aveva detto fino ad allora non era verità". Guzzanti spiega anche che, da suoi colloqui con la magistratura parigina, si apprese che era stato il Gru, il servizio d'informazione delle Forze armate russe, e non il Kgb a dare l'ordine ai bulgari di eliminare il Papa polacco: la questione, insomma, sarebbe stata prettamente militare, perché Wojtyla impediva la piena agibilità del suolo polacco, vista la presenza di Solidarnosc. "La cosa spaventosa - sottolinea Guzzanti - è che quando scoprimmo questa faccenda tutte le tv del mondo ne parlarono, mentre in Italia la cosa fu di fatto oscurata". Ma perché Agca dice ora che non è stata fatta piena chiarezza. "E lo credo! - esclama Guzzanti -. Basterebbe che lui ripetesse quello che aveva detto ai magistrati all'inizio, dando allora tutti i nomi e i dettagli: è tutto agli atti. Poi, dopo l'intimidazione in carcere da parte del giudice bulgaro, le sue nuove dichiarazioni farneticanti lo fecero dichiarare pazzo, non più attendibile. All'epoca dei fatti, i magistrati non potevano fare di più".