Ergastolo per il boss Nino Madonia, come richiesto dall’accusa. Lo ha deciso, al termine della camera di consiglio, durata circa tre ore, il gup di Palermo, Alfredo Montalto, per il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta, Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989. Il boss della mafia Madonia aveva optato per il rito abbreviato. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone presente il papà di Nino, Vincenzo Agostino, con la sua lunga barba bianca, che da 32 anni attende verità e giustizia, e le sorelle del poliziotto defunto Nunzia e Flora. Il gup, inoltre, ha rinviato a giudizio il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato, e Francesco Paolo Rizzuto, che risponde di favoreggiamento aggravato, in merito all’uccisione di Nino Agostino e Ida Castelluccio. L’inizio del processo è stato fissato per il 26 maggio.
Quella barba bianca
La sera del 5 agosto 1989 l’agente della polizia di Stato Antonino Agostino e la giovane moglie incinta, Giovanna Ida Castelluccio, furono uccisi a colpi d’arma da fuoco davanti all’ingresso dell’abitazione estiva della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini. A sparare due killer giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata. Da allora il papà dell’agente, Vincenzo Agostino, non si è più tagliato la lunga barba bianca in attesa di verità e giustizia.
"Torbidi rapporti boss-istituzioni"
Le indagini si sono rivelate sin da subito particolarmente complesse, principalmente «per alcune evidenti anomalie», secondo l’accusa. In primo luogo, risultava assente «un qualsiasi movente plausibile». Dalle prime investigazioni e in specie dalle dichiarazioni dei suoi 'superiori',, Nino Agostino appariva essere un agente addetto al servizio Volanti del commissariato di Palermo - San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili. Nessuna ombra del resto, vi era mai stata sulla sua vita professionale. In secondo luogo «erano stati sottratti alla conoscenza della magistratura documenti essenziali per l’accertamento della causa dell’omicidio», mediante la distruzione di manoscritti di Agostino ritrovati nel corso di una perquisizione eseguita dopo il delitto.
"Ucciso perché scoprì pezzi infedeli dello Stato"
Agostino faceva parte, insieme a Emanuele Piazza, Giovanni Aiello (detto 'Faccia da mostrò), Guido Paolilli (anche lui agente della polizia di Stato che aveva provveduto a reclutare lo stesso Agostino), e altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, «in fase di reclutamento», spiega la Dia, «veniva rappresentata con la finalità della ricerca di latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle istituzioni e Cosa nostra». E’ venuto fuori, pure, «da molteplici prove», che Agostino aveva, nell’ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva. A quella struttura Agostino aveva offerto una pista «molto seria» - legata a familiari della moglie - per giungere alla cattura di Totò Riina a San Giuseppe Jato; e da essa si era allontanato poco prima del suo matrimonio, «fatto - sottolineano il pg - che era stato posto a fondamento della decisione di uccidere lui e la moglie».
007 e depistaggi, la struttura deviata
In particolare, sono stati oggetto dell’istruttoria i rapporti di appartenenti alle istituzioni con Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e Scotto, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi. Le prove raccolte riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori attendibili (Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato) ma anche di testimoni vicini ad Agostino, colleghi e familiari. Intercettazioni hanno poi «dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi». Dalle indagini condotte dalla Dda di Palermo e acquisite dalla procura generale, sono emersi anche rapporti di Agostino con Giovanni Falcone nella fase in cui questi stava conducendo «investigazioni delicatissime» sulla 'pista nera' per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella.
"L'amico di Nino mentì"
Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto «Paolotto», nel 1989 ancora minorenne, amico personale di Antonino Agostino. Come risulta in atti, al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l’abitazione estiva degli Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato presso gli Agostino. In base ad attività tecniche riservate, ora al vaglio del gup, sarebbe stato accertato che Rizzuto, in più occasioni, avrebbe reso dichiarazioni false in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto e, in generale, su quanto a sua conoscenza.