Martedì 30 Aprile 2024

Messina Denaro al vertice, pizzini dal 41 bis e affari con gli Usa: così si organizza la mafia

L'identikit di Matteo Messina Denaro

Messina Denaro al vertice, i boss che comunicano facilmente dal carcere, i contatti con la mafia americana e il controllo dell'agroalimentare nell'Agrigentino. Una mappa dettagliata di come si organizza la mafia che emerge dall'operazione con 22 fermi (l'ordine di cattura numero 23 è quello per Matteo Messina Denaro) che questa mattina ha dato un duro colpo a boss di stidda e cosa nostra fra Agrigento, Trapani, Palermo e Caltanissetta. Uno scenario che guarda l'organizzazione della malavita siciliana, con le note diramazioni anche nel resto d'Italia e Oltreoceano, capace ancora una volta di adeguarsi e plasmarsi ai tempi che cambiano.

Matteo Messina Denaro è sempre il capo dei capi

C'è anche Matteo Messina Denaro fra i destinatari del provvedimento di fermo di oggi, che è stato emesso per 23 persone, ma eseguito solo nei confronti di 22, visto che il padrino trapanese resta latitante. Irrintracciabile da 28 anni eppure ad avere lui l'ultima parola sui fatti importanti che riguardano cosa nostra. Il ruolo del boss di Castelvetrano viene fuori nella vicenda relativa al tentativo di alcuni uomini d'onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall'indagine emerge che per di realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro che continua, dunque, a decidere le sorti e gli equilibri di potere di Cosa nostra pur essendo da anni imprendibile.

Carcere duro e messaggi

Carcere duro sì ma se c'è un avvocato complice che ti dà una mano è meno complicato far arrivare la propria voce (e i propri ordini) fuori dalle sbarre. Lo hanno sperimentato diversi capimafia, a partire dal boss ergastolano agrigentino Giuseppe Falsone, che riuscivano a discutere, scambiare messaggi e persino concludere affari dall'interno del carcere. Come? A volte grazie alla complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria, oppure riuscendo a eludere la sorveglianza e a passare informazioni a gesti senza essere intercettati. Dall'indagine di oggi è venuto fuori un caso eclatante: quello di un agente in servizio nel carcere di Agrigento che, durante un colloquio tra Falsone e l'avvocato Angela Porcello (anche lei coinvolta nel blitz), avrebbe consentito alla legale di portare in carcere lo smartphone e di usarlo rispondendo alle telefonate ricevute nel corso dell'incontro. Il boss, inoltre, sarebbe riuscito a inviare messaggi all'esterno, perché in alcuni istituti di pena non viene controllata la corrispondenza tra i detenuti al 41 bis e i propri difensori. Sfruttando questo limite nella vigilanza Falsone, attraverso il suo avvocato, sarebbe riuscito a fare uscire dal carcere i messaggi che, in prima battuta, essendo destinati a terzi, erano stati censurati dal magistrato di sorveglianza. L'indagine ha accertato inoltre che boss di Agrigento, Trapani e Gela, tutti detenuti nel carcere di Novara, sfruttando inefficienze nei controlli dialogavano tra loro riuscendo anche a saldare alleanze tra cosche di territori diversi.

Sempre in affari con i cugini americani

Dagli Stati Uniti alla Sicilia per mantenere i legami e fare business. Gli storici rapporti tra la mafia siciliana e cosa nostra americana non sono mai cessati. Una dimostrazione arriva anche dall'inchiesta di oggi del Ros: emissari statunitensi della famiglia dei Gambino di New York nei mesi scorsi sarebbero andati a Favara per parlare con i boss locali di affari da concludere fianco a fianco.

I clan e il controllo sul mercato agroalimentare

Se c'è un mercato emergente, e adesso a dire il vero sempre più consolidato, è quello dell'agroalimentare. E i boss a fiutare gli affari sono bravi, per questo la mafia agrigentina stava investendo e controllava il commercio di uva e altri prodotti agricoli nella provincia. Un modo per i boss di accaparrarsi ingenti risorse economiche che andavano ad alimentare le casse dei clan e limitavano il ricorso ad attività illecite rischiose come il traffico di droga. Nello stesso tempo le cosche presidiavano la principale attività economica del territorio in una provincia saldamente legata al mercato agroalimentare.

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