«Non stupisce che la variante britannica del virus già circolasse in Italia. Ma questo non deve allarmare e soprattutto non deve mettere in dubbio l’efficacia dei vaccini». Lo sostiene in un’intervista al Corriere della Sera Giorgio Palù, emerito di Virologia a Padova, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa, che cerca di bloccare sul nascere il timore di una sfiducia verso la profilassi che inizia la prossima domenica. Per Palù «i dati preliminari provenienti da diversi gruppi di ricerca vanno in questa direzione» e quindi «non c'è motivo di preoccuparsi» perché «questo ceppo ha un vantaggio selettivo rispetto ad altri ceppi che già circolavano e si sta imponendo per capacità di infettare e trasmettersi». Pertanto, secondo il virogolo dell’Aifa, «la variante inglese, identificata all’inizio nel Sud-Est del Regno Unito, è presente in diverse parti del mondo, segnalata in Sudafrica, Olanda, Belgio in Danimarca e in Italia su una persona che non ha mai viaggiato nè avuto contatti con cittadini provenienti dal Regno Unito». Sostiene Palù: «Si presume sia più infettante e contagiosa anche per i giovani, ma mancano le prove. La variante ha acquisito questo vantaggio come ogni microbo vorrebbe fare, per persistere e propagarsi. Se i virus uccidono l’ospite rischiano l’estinzione» e quindi «non c'è nessuna evidenza» che sia più aggressiva perché «il tasso di mortalità è rimasto lo stesso» e «per evolversi un virus deve avere libertà di replicarsi in un organismo che non gli oppone resistenza, come quello di una persona immunodepressa». Quindi per il virologo «l'ipotesi è che il nuovo ceppo si sia originato in uno di questi individui o in un soggetto rimasto a lungo positivo dove il virus ha avuto il tempo di modificare indisturbato il suo corredo genetico e sia stato poi selezionato con i trattamenti quali le trasfusioni di sangue iperimmune». Tuttavia, aggiunge Palù, «tutte le pandemie della storia causate da agenti virali, anche quelle ricorrenti, non sono durate più di due anni dal loro esordio e questo significa che i virus finiscono per adattarsi all’uomo che a sua volta sviluppa naturalmente sistemi di difesa».