Lunedì 23 Dicembre 2024

Coronavirus, in Sicilia ricoveri in terapia intensiva vicini al livello di guardia: ospedali in affanno in tutta Italia

Crescono i contagiati in Sicilia (789 i nuovi casi di Coronavirus registrati ieri), ma cresce anche la quota dei malati in degenza. I ricoverati sono ora 839, mentre in Rianimazione si trovano 115 persone occupando il 21% dei 538 posti letto in terapia intensiva (Covid e non) disponibili al momento sull’intero territorio, come comunicato nei giorni scorsi dalla Regione al ministero della Salute. Un dato in aumento, con 4 casi in più ieri, e che preoccupa notevolmente visto che si tratta di una percentuale più che raddoppiata nel giro di due settimane e sempre più vicina al livello di guardia, sia a quello fissato da Roma per tutto il Paese, pari al 30%, sia a quello tracciato dal Comitato tecnico scientifico regionale durante un’audizione in commissione Salute all’Ars martedì scorso, pari al 32%, ovvero 175 posti letto. "In Sicilia siamo sotto pressione, ma non si può parlare di una vera e propria emergenza nelle terapie intensive, finora stiamo tenendo bene alla seconda ondata di contagi", dice Enzo Massimo Farinella, direttore dell'unità di malattie infettive dell'azienda ospedaliera Villa Sofia Cervello. "Va detto - spiega Farinella - che c'è un 'turn over' interno, perché dall'intensiva i pazienti possono passare anche alla semintensiva con ventilazione assistita e nei casi migliori anche direttamente in malattie infettive". In terapia intensiva all'ospedale Cervello i posti occupati sono 10 su 12, ma servono medici e infermieri, mentre al Civico di Palermo, in prima rianimazione tutto completo, 10 posti su 10. "Ma c'è disponibilità - sottolinea il direttore sanitario Salvatore Requirez - di altri 9 più 9 in terapia intensiva respiratoria, oltre ai 3 pediatrici, attualmente vuoti, dell'ospedale dei Bambini". In terapia intensiva al Policlinico San Marco di Catania sono occupati 11 posti sui 14 disponibili ma possono essere estesi fino a 24, mentre al Policlinico di Catania ci sono 12 posti occupati su 14. Il Policlinico di Palermo al momento ha 8 posti in intensiva no Covid e altri 7 dedicati alla cardiochirurgia, "ma da noi arrivano anche pazienti Covid - sottolinea il direttore della rianimazione Antonello Giarratano - nell'emergenza li stabilizziamo e poi vengono trasferiti. Entro fine novembre avremo disponibili 8 posti in terapia intensiva per pazienti Covid". Intanto, l'area di emergenza dell'ospedale Civico di Palermo è intasata con 40 pazienti Covid assistiti e diverse ambulanze fuori in attesa. "Siamo in una situazione complessa, i margini si assottigliano sempre di più, ma i pazienti arrivati con 118 in attesa di entrare vengono assistiti regolarmente - dice Massimo Geraci, direttore dell'area di emergenza del Civico di Palermo -. Proprio oggi (ieri, ndr) in pronto soccorso sono arrivati 5 ventilatori che abbiamo subito collaudato e ne abbiamo usato già 3. Abbiamo 12 pazienti in ventilazione non invasiva e una decina con il casco. Speriamo stasera di poter portare nel nuovo reparto di intensiva altri 8 pazienti, in modo da alleggerire il carico". Ma in tutta Italia cresce la pressione sugli ospedali dove il numero complessivo dei ricoverati ieri ha toccato quota 16mila. La conseguenza è che si cominciano a chiudere e 'riconvertire' in reparti Covid anche reparti di altre specialità, come le Cardiologie, con conseguenze serie che ricadono dunque sui pazienti con altre patologie. "Abbiamo un grave problema di affollamento degli ospedali", ha infatti detto il Commissario Arcuri. La situazione sta diventando particolarmente allarmante proprio nei reparti di cardiologia. E la Società italiana di cardiologia (Sic) lancia l'allarme: "La sospensione degli ambulatori cardiologici, dei reparti e delle unità di terapia intensiva coronarica (Utic) dovuta al Covid rischia di avere conseguenze catastrofiche, con un aumento della mortalità dei pazienti cardiologici già dal prossimo mese". Forte preoccupazione arriva anche dagli oncologi che evidenziano un'altra forte criticità, ovvero l'integrazione con la medicina del territorio. Questo punto, rileva il presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) Giordano Beretta, "è quello risultato più deficitario durante la prima ondata della pandemia, perché troppi pazienti non sono più andati in ospedale per paura del contagio. Al tempo stesso, però non sono stati assistiti adeguatamente a livello territoriale. In questi mesi, è stato perso tempo prezioso e non vi sono stati significativi passi in avanti per migliorare l'integrazione fra ospedale e territorio".

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