Nuovi particolari emergono dall'inchiesta «Sorella sanità», sul presunto aggiustamento di appalti nel campo delle forniture a ospedali e Asp siciliani: uno degli indagati, Salvatore Manganaro, faccendiere e imprenditore, ammette di avere incassato, dividendola con l’ex direttore generale dell’Asp di Trapani Fabio Damiani, una tangente da 100 mila euro, che sarebbe stata pagata da Crescenzo De Stasio, dirigente di una delle aziende interessate alle gare, la Siram. Manganaro, che fu stretto collaboratore di Damiani, dice che quel denaro sarebbe servito per consentire il rientro di Siram, esclusa per un cavillo, nell’appalto per la fornitura dei vettori energetici di gestione degli impianti tecnologici della azienda sanitaria provinciale di Palermo.
Una tesi respinta dallo stesso Damiani, che ieri si è fatto interrogare in carcere dai pm Giovanni Antoci e Giacomo Brandini, così come martedì aveva fatto l’ex commissario anti-covid della Regione Sicilia, Antonio Candela. Entrambi sarebbero evidentemente preoccupati dalle dichiarazioni di Manganaro, che ha aperto una breccia nel muro di silenzio seguito ai dieci arresti del 21 maggio.
Misure cautelari (due in cella, appunto Manganaro e Damiani, gli altri ai domiciliari) apparse insufficienti ai magistrati del pool coordinato dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, considerata la gravità e il volume degli appalti in questione, circa 600 milioni, e le possibili tangenti in ballo. La Procura ha fatto ricorso in sede di appello al Tribunale del riesame, per aggravare le misure a coloro che sono agli arresti in casa e agli altri che hanno evitato misure cautelari restrittive, nonostante la richiesta dei pm al Gip.
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