Interrogati i carabinieri protagonisti dello scandalo di Piacenza. In tre ore davanti al Gip, Giuseppe Montella, considerato il capo del sistema criminale messo in piedi nella caserma Levante si è difeso ma non ha potuto negare l'innegabile, documentato in decine di intercettazioni in cui lo spazio per le interpretazioni della sua stessa voce è praticamente nullo. E fa le prime ammissioni. "Si può sbagliare, si possono fare errori per ingenuità, vanità, per tante cose", ha detto. Ci saranno ulteriori riscontri ma è stato collaborativo al 100%" ha detto il suo avvocato, Emanuele Solari, nel 2017 candidato a sindaco della città con Forza Nuova, definendo Montella "molto provato". Ancora più diretto l'altro legale, Giuseppe Dametti: "C'è stata una collaborazione completa, chiarificatrice, esplicita e senza esitazioni". Quanto sia andato a fondo Montella, uno che per i pm si sentiva "svincolato da qualsiasi regola morale e giuridica", quanto abbia spiegato tutti quegli arresti da gennaio in poi tacendo che venivano promossi dai suoi "galoppini", senza accertamenti sul territorio e "macchiati da violenze e percosse", lo si capirà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Soprattutto per quanto riguarda la catena di comando visto che, dicono gli avvocati, anche questa questione - e dunque quali e quanti superiori nella scala gerarchica sapevano del modus operandi in voga nella caserma Levante - "è stata chiarita". Sono complessivamente quattro i siciliani coinvolti, tra cui il comandante Marco Orlando, maresciallo maggiore originario di Petralia Sottana, finito agli arresti domiciliari Tra i nomi dei militari finiti nell’inchiesta ci sono anche Marco Marra (finanziere con l’obbligo di firma, accusato di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio) e Salvatore Cappellano (appuntato dei carabinieri finito in carcere), entrambi originari di Catania. Marra (classe 1989) è finanziere in forza al Nucleo cinofilo di Piacenza, mentre Cappellano (classe 1983) è appuntato scelto nella caserma Levante. A loro si aggiunge il carabiniere Daniele Spagnolo (classe 1990), nato a Salemi, nel Trapanese, finito in carcere. Cappellano non ha aperto bocca. Quello che secondo gli inquirenti e gli investigatori sarebbe l'autore materiale delle botte e delle torture e quello che la procura definisce "l'elemento più violento della banda dei criminali" che per anni ha imperversato nella caserma Levante. Senza che nessuno se ne accorgesse. Forse. "Ciò che proprio non si riesce ad accettare - scrivono infatti i pm - ed ancora prima a comprendere, è come sia stato possibile che detto sistema delinquenziale si sia protratto per anni". Dovranno spiegarlo il comandante della stazione, il maresciallo Marco Orlando, che sarà interrogato lunedì, il comandante della compagnia maggiore Stefano Bezzeccheri. E molto probabilmente anche qualcun altro. «Facevo quello che mi dicevano di fare senza sapere cosa c’era a monte», è stata invece la difesa di Daniele Spagnolo, il carabiniere nativo di Salemi. Stando a quanto riferito dal suo avvocato, Francesca Beoni, Spagnolo «ha dato la sua versione per ogni capo d’imputazione e indicato il ruolo che aveva e quello che ha visto». «Non c’è stata nessuna ammissione», aggiunge la legale, sottolineando che Spagnolo «era quello che aveva il grado più basso».