Corruzione nella sanità in Sicilia, il patto tra manager e imprenditori per intascare le tangenti
Forse tra i più delusi nell'apprendere il terremoto che ha sconvolto la sanità della Sicilia c'è proprio l'assessore alla Salute Ruggero Razza, che in un momento di grande tensione, nel bel mezzo dell'esplosione dell'epidemia di coronavirus nell'Isola e nel mondo, si era affidato proprio all'uomo, al nome più "grosso", tra quelli coinvolti nell'operazione della guardia di finanza, che ha svelato appalti e corruzione nella sanità della Trinacria: quello di Antonio Candela. «Quando è esplosa l’emergenza Covid, mi resi conto che bisognava mettere in piedi una task forse sanitaria perché sarebbe stato fondamentale coordinare tutte le strutture dell’Isola. Antonio Candela godeva di grande considerazione nell’ambiente sanitario, aveva ricevuto diversi attestati non solo per il suo profilo professionale e ma anche per l’impegno sul fronte della legalità», ha detto Razza annunciando, ovviamente, la revoca dell’incarico a Candela di responsabile della task force. L’indagine della Guardia di finanza di Palermo sul sistema degli appalti sanitari in Sicilia, ha evidenziato le strette relazioni tra due coppie di manager e imprenditori: Fabio Damiani (direttore dell’Asp di Trapani e prima responsabile della Centrale unica di committenza) è messo in relazione con l’imprenditore Salvatore Manganaro; Antonino Candela (fino al dicembre 2018 a capo dell’Asp di Palermo e dal marzo scorso commissario per l'emergenza Covid in Sicilia) mantiene rapporti con Giuseppe Taibbi. L’entità delle tangenti con le imprese, per il sodalizio Damiani-Manganaro, scrive il Gip Claudia Rosini, «è commisurato in percentuali sul fatturato. Non era possibile riscuotere in contanti le ingenti somme pattuite con le ditte, quindi era necessario anche attivare un meccanismo di copertura attraverso formali rapporti imprenditoriali e la relativa fatturazione, a cui non potevano essere ricondotti i nomi di Manganaro e tantomeno quello di Damiani. La tangente stessa doveva confondersi, sicché la ditta non era costretta a costituire fondi neri di ingente entità. In tutte le condotte ascritte al duo Damiani-Mangano (ma anche Candela-Taibbi) è dato scorgere la ricorrenza di analoghi schemi, secondo cui la società interessata alla gara era contattata dall’intermediario/faccendiere, che offriva o forniva informazioni riservate; seguiva la copertura di fatture e contratti in parte fittizi messi a disposizione dell’intermediario per giustificare il pagamento del corrispettivo». Manganaro si è servito di una galassia di società, appositamente create, che, congegnate come matrioske, non erano a lui riconducibili in quanto affidate nella gestione al fidato trustee Vincenzo Li Calzi, avvocato iscritto all’albo di Agrigento con studio a Canicattì.