Arresti in Italia e all’estero nei confronti di due clan mafiosi nigeriani da parte della polizia su disposizione della magistratura di Bari.
Gli indagati rispondono di associazione per delinquere, tratta, riduzione in schiavitù, estorsione, rapina, lesioni, violenza sessuale e sfruttamento della prostituzione. Una trentina le misure cautelari eseguite in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Lazio, Abruzzo, Marche, Emilia Romagna, Veneto e all’estero, in Germania, Francia, Olanda e Malta.
L’indagine della Squadra mobile di Bari, con il coordinamento del Servizio centrale operativo e l'ausilio della divisione Interpol del servizio per la Cooperazione internazionale di polizia, è coordinata dalla Dda di Bari.
Era dal Cara di Bari-Palese (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) e poi dal quartiere Libertà dove si erano stabiliti, che gli appartenenti alle gang nigeriane controllavano i traffici illeciti in città e in provincia.
L’indagine, coordinata dalle pm della Dda di Bari Simona Filoni e Lidia Giorgio, ha accertato che diversi episodi di aggressioni avvenuti negli ultimi anni all’interno del centro di accoglienza, violenza sessuale su connazionali, risse e accoltellamenti, sarebbero riconducibili alle attività delle gang, ritenute vere e proprie associazioni per delinquere di stampo mafioso con suddivisione gerarchica dei ruoli, rituali di affiliazione, ricorso alla violenza e alla intimidazione.
Tra le principali fonti di guadagno dei gruppi criminali nigeriani presenti a Bari e documentate in questa inchiesta ci sono lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio davanti ai supermercati.
C'era la regola delle 'Tre D’, donne-denaro-droga, alla base dell’attività delle gang mafiose nigeriane, i Supreme Vikings Confraternity e i Supreme Eiye Confraternity, meglio noto come «Rossi» e «Blu», sgominate dalla Dda di Bari.
La polizia ha arrestato oggi 32 persone in Italia e all’estero (49 in totale gli indagati, tutti di nazionalità nigeriana). Stando alle indagini, le donne, nella maggior parte dei casi oggetto di tratta e sottomesse con violenza fisica e psicologica attraverso riti vudù, erano costrette a prostituirsi. Il denaro che se ne ricavava veniva inviato in Nigeria tramite corrieri o sistemi hawala o reinvestito nel traffico di droga (aspetto sul quale le indagini sono ancora in corso).
L’inchiesta ha documentato, infatti, una crescita esponenziale dei flussi di denaro dall’Italia verso la Nigeria: nel 2018 - come rilevato da Banca d’Italia - 74,79 milioni di euro, il doppio del 2016 (6,2 milioni mensili di uscite di provenienza illecita).
Gli inquirenti hanno messo in correlazione tale aspetto con la presenza di popolazione nigeriana in Italia, pari a 105 mila al 30 giugno 2019 secondo i dati del Rapporto annuale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in prevalenza uomini, con il più basso tasso di occupazione (45,1% in confronto al 59,1% dei non comunitari) e il più alto tasso di disoccupazione (34,2% con il 14,9% dei non comunitari).
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