Sostiene di avere millantato un potere che non aveva Antonello Nicosia, esponente dei Radicali Italiani arrestato lunedì per associazione mafiosa. L’indagato ha risposto al gip che deve convalidare il provvedimento di fermo emesso dai pm a suo carico e nei confronti del boss di Sciacca Accursio Dimino e di tre presunti favoreggiatori mafiosi.
Nicosia, che oltre a parlare di progetti di estorsioni e omicidi, entrava nelle carceri per avere contatti coi boss, sfruttando il ruolo di collaboratore parlamentare della deputata Giusy Occhionero, ha sostenuto che quelle registrate dalle microspie degli inquirenti erano solo millanterie e che nessuna azione concreta aveva mai fatto seguito alle «chiacchiere" registrate. Nicosia ha poi definito «inopportune» le parole offensive usate verso il giudice Falcone e le espressioni di stima riservate al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Al gip ha risposto anche il boss Dimino che pur ammettendo i suoi rapporti con Cosa nostra - è già stato condannato due volte per mafia - ha detto di aver cessato il suo legame con l'associazione criminale dopo il 2016, data della sua ultima scarcerazione. Il gip, che ha sentito anche i tre favoreggiatori, dovrà decidere nelle prossime ore sulla convalida.
I fratelli Paolo e Luigi Ciaccio, invece, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il commerciante Massimiliano Mandracchia, 46 anni, si difende e spiega di avere messo a disposizione del boss Accursio Dimino il proprio cellulare «solo al fine di consentirgli, visto che lui non aveva whatsapp, di comunicare con il cugino in America per prendere contatti finalizzati a un trasferimento per ragioni lavorative». Si sono conclusi nel pomeriggio, nel carcere palermitano di Pagliarelli, davanti al gip Alberto Davico, gli interrogatori ci convalida dei fermi dell’operazione «Passepartout».
I Ciaccio e Mandracchia sono accusati di favoreggiamento aggravato. In particolare si contesta di avere messo a disposizione utenze telefoniche e avere favorito gli spostamenti degli affiliati. I Ciaccio avrebbero aiutato sia Dimino che l’assistente parlamentare Antonello Nicosia «ad eludere le investigazioni». I due fratelli, difesi dagli avvocati Paolo Imbornone e Salvino Barbera, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Mandracchia, assistito dagli avvocati Calogero Lanzarone e Antonello Palagonia, avrebbe invece messo a disposizione di Dimino il proprio negozio di frutta per gli incontri con gli altri associati favorendo le comunicazioni.
«Ho solo fornito il mio cellulare - ha spiegato al giudice - perchè non aveva whatsapp e mi ha chiesto il favore di poterlo usare per comunicare col cugino che poteva garantirgli un lavoro in America.
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