Mentre si teme per un maxi naufragio davanti le coste della Libia con almeno cento dispersi come riferisce Alarm Phone citando un pescatore testimone della tragedia, Open Arms, a Lampedusa, aspetta segnali concreti dai governi di Italia e Spagna, dopo avere ricevuto, in via ufficiale, la disponibilità a collaborare per sbloccare lo stallo. Le diplomazie sono al lavoro per stabilire una linea comune, anche se il tempo scorre inesorabile. E così anche oggi, per il 18° giorno consecutivo, la speranza dei 107 naufraghi di toccare la terraferma, che dista appena 800 metri da Cala Francese, s'è infranta. Se la Ong ha accettato la proposta di trasferimento dei migranti in un porto delle Baleari - Minorca o Maiorca -, rimane aperto il problema di come si debba procedere. «Se davvero un accordo è stato trovato, è indispensabile che Italia e Spagna si assumano la responsabilità di mettere a disposizione tutti i mezzi necessari», avverte Open Arms. Che però mette dei paletti. «Con la nostra imbarcazione a 800 metri dalle coste di Lampedusa, gli stati europei stanno chiedendo a una piccola ong come la nostra, di affrontare 590 miglia e 3 giorni di navigazione, in condizioni metereologiche peraltro avverse, con 107 persone stremate e 19 volontari molto provati che da più di 24 giorni provano a garantire quei diritti che l'Europa nega», evidenziano. No dunque all’ipotesi di essere scortati dalle navi militari della Guardia costiera fino alle Baleari, perché, dicono Oscar Camps e Riccardo Gatti di Open Arms, «noi certamente non possiamo navigare con la situazione che c'è a bordo». Anche la seconda ipotesi, cioè quella di trasferire una parte dei naufraghi nelle navi militari mentre il resto rimarrebbe sull'imbarcazione spagnola, viene bocciata dalla Ong. La sensazione è che ci sia in atto un braccio di ferro, tra il governo italiano che vorrebbe definitivamente fuori dalle acque territoriali Open Arms e la Ong spagnola che, con il trasferimento dei 107 naufraghi, potrebbe riprendere la missione nel Canale di Sicilia. In questa sorta di partita a scacchi, la Ong ha messo in campo due proposte: il trasferimento dei naufraghi in aereo o con traghetti di linea. «Per dare dignità a queste persone potrebbero trasferirli a Catania e da lì in aereo portarli a Madrid - è l’idea lanciata da Camps e Gatti - Affittare un boeing per 200 persone costa 240 euro a passeggero. La soluzione Aquarius, lo scorso anno, per una nave della guardia costiera è costata 250 mila euro mentre la spesa per l’altra nave neanche si è saputa». L’alternativa, proposta dalla Ong, è l’uso di traghetti, e non di navi militari, «per fare viaggiare queste persone, stremate, in condizioni umane». Alle parti si rivolge la portavoce della Commissione europea Natasha Bertaud: "Facciamo un appello agli Stati membri e alle Ong a collaborare per trovare una soluzione che funzioni e che permetta uno sbarco immediato delle persone". Spiegando, inoltre, che il commissario Dimitris Avramopoulos nei suoi contatti con gli Stati membri degli ultimi giorni ha sollevato anche la questione della Ocean Viking, la nave norvegese con 356 naufraghi a bordo da giorni tra Malta e Lampedusa. Intanto, stamani a bordo di tre pulmini, scortati dalle forze dell’ordine, 24 minori, tutti maschi, scesi dalla Open Arms sono stati imbarcati sulla nave Sansovino della Siremar, diretta Porto Empedocle. Sulla nave sono saliti altri 13 migranti, tra cui Hikma, l’etiope di 18 anni che ha raccontato le violenze subite per tre anni nelle prigioni libiche. Ma se in 37 hanno lasciato l’hotspot, altrettanti ne sono arrivati: si tratta dei migranti intercettati dalla Guardia di finanza in tre operazioni differenti. Nell’hotspot al momento ci sono 118 persone.