È reato commercializzare i prodotti derivati dalla cannabis light. È la decisione presa questo pomeriggio dalle sezioni unite penali della Cassazione, presiedute dal presidente aggiunto Domenico Carcano. «Integrano il reato» previsto dal Testo unico sulle droghe (articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990) «le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». Saranno dunque i giudici di merito, di volta in volta, a valutare quale sia la soglia di 'efficacia drogante' che rientra nei 'parametri' del consentito. La commercializzazione di cannabis 'sativa L’, spiegano i supremi giudici, «e in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016», sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Con la loro informazione provvisoria - alla quale nelle prossime settimane dovrà seguire il deposito della sentenza con le motivazioni - i giudici della Corte osservano che la legge del 2016 «qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole» che «elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati». «Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano». Lo dice il ministro dell’Interno Matteo Salvini commentando la sentenza della Cassazione. (AGI)