«L'aspetto fisico di una donna che si dichiara vittima di stupro è del tutto «irrilevante» e si tratta di un «elemento non decisivo» per valutare la credibilità sua e dei suoi aggressori. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi dell’annullamento con rinvio delle assoluzioni dei due giovani sudamericani accusati di aver violentato una ragazza peruviana a Senigallia quattro anni fa. Ad assolverli era stata la Corte di Appello di Ancona nel novembre del 2017 con un verdetto che ha fatto scalpore e in cui si faceva riferimento anche alla «mascolinità» della ragazza per dare credito alla versione assolutoria dei due imputati e, al contrario, minare la credibilità della vittima. In particolare, la Corte d’appello di Ancona (composta in quel caso da tre donne), aveva stabilito che «non è possibile escludere che sia stata proprio» la giovane - definita in un passaggio la «scaltra peruviana» - «a organizzare la nottata 'goliardica', trovando una scusa con la madre, bevendo al pari degli altri, per poi iniziare a provocare» uno dei due imputati "(al quale la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo 'Vikingò ... con allusione ad una personalità tutt'altro che femminile, quanto piuttosto mascolina, che la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare)». Secondo la Cassazione, però, la ricostruzione della vicenda fatta dai giudici d’appello «si basa fondamentalmente sulla incondizionata accettazione del narrato degli imputati», i quali avevano sostenuto la consensualità del rapporto. Una versione, prosegue la Suprema Corte, «che viene ritenuta riscontrata sul piano obiettivo da elementi non decisivi» e «irrilevanti in quanto eccentrici rispetto al dato di comune esperienza rispetto alla tipologia dei reati in questione, come l’aspetto della vittima». Secondo gli ermellini, inoltre, i giudici di merito non hanno svolto alcun «serio raffronto critico» con il verdetto di condanna emesso in primo grado: senza il necessario «supporto probatorio» le dichiarazioni dei due imputati sul consenso al rapporto sessuale sono state prese per buone a fronte della brutalità del rapporto in seguito al quale la ragazza si è dovuta sottoporre a intervento chirurgico e trasfusione. La denuncia per lo stupro risale al marzo del 2015 quando la ventiduenne peruviana si presenta in ospedale con la madre dicendo di avere subito una violenza sessuale in un parco ad Ancona da parte di un coetaneo, mentre un amico di lui faceva da palo. Per loro, il 6 luglio 2016 il tribunale decreta una condanna a 5 e 3 anni, con l’accusa di aver violentato la giovane dopo averle somministrato un mix di alcol e droga. In appello la situazione si ribalta: il 23 novembre 2017 i due imputati vengono assolti e la ricostruzione della ragazza viene ritenuta non credibile. Lo scorso 5 marzo, poi, la Cassazione annulla la sentenza, ritenendo fondati i ricorsi della procura generale e della vittima, disponendo un nuovo processo d’appello a Perugia.