Un attentato nella Basilica di San Pietro a Roma, cuore della cristianità, una bomba nella "chiesa più grande" d'Italia nel giorno di Natale o poco dopo, quando in quel luogo ci sono "il Papa e tanta gente, è pieno pieno pieno". È quanto stava progettando il 20enne somalo Mohsin Ibrahim Omar, alias Anas Khalil, noto sui social come Yusuf, lo stesso nome della scuola coranica estremista di Nairobi dove si sarebbe radicalizzato. Le intenzioni di Ibrahim emergono - secondo la magistratura barese - dalle intercettazioni che hanno portato al suo fermo a Bari, nei giorni scorsi per terrorismo. Ora Ibrahim, dal carcere del capoluogo pugliese dove è detenuto da quattro giorni, non si descrive agli inquirenti come un terrorista, ma dice che "se Dio vuole, se serve alla causa, bisogna farlo, bisogna uccidere". Poco più di un mese di indagini, fatte di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, hanno consentito agli investigatori della Digos di Bari, coordinati dalla Dda, di raccogliere indizi sufficienti a ritenere fondato il pericolo che il 20enne stesse progettando un attentato a Roma per le feste di Natale. Un periodo considerato come ogni anno a rischio dagli apparati di sicurezza, che non a caso nel Comitato per l'ordine e la sicurezza che si è tenuto oggi al Viminale hanno ribadito la necessità di mantenere tutte le misure ai massimi livelli specie in stazioni, aeroporti, edifici di culto, monumenti e luoghi affollati. Ci saranno inoltre 30mila uomini delle forze dell'ordine sui treni da oggi fino al 6 gennaio. "Il livello d'attenzione è assolutamente alto su possibili obiettivi sensibili e mercatini di Natale" ha confermato il ministro dell'Interno Matteo Salvini che ha però aggiunto: "dobbiamo continuare a vivere come abbiamo sempre vissuto e non cambiare abitudini, perché è quello che vogliono i terroristi". Il 20enne somalo è stato fermato a Bari il 13 dicembre scorso: la polizia lo ha bloccato con le valigie in mano, mentre tentava di fuggire dopo aver esultato, poche ore prima, per l'attentato a Strasburgo: "Quello che uccide i nemici di Allah - si legge in una sua intercettazione - è nostro fratello". Mohsin Ibrahim era stato segnalato all'antiterrorismo barese dall'intelligence italiana e internazionale come un "mujaheddin", miliziano dell'Isis, componente del gruppo armato somalo-keniota di Daesh, noto per aver combattuto in Somalia e in Libia, e arrivato in Italia nel novembre 2016, dopo l'arretramento dell'Isis, "per compiere attentati fuori dai confini dello Stato Islamico come quelli" di Parigi e Bruxelles. Ibrahim era arrivato in Sicilia, poi si era trasferito in Emilia Romagna dove aveva ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e da un anno viveva in Puglia dove lavorava in una impresa di pulizie. La sua permanenza a Bari, prima in una struttura di accoglienza e poi nel Ferrhotel, lo ha visto un anno fa protagonista di un'aggressione per strada ad un passante. Nell'ascoltare quelle preghiere "batte il cuore", spiegava il somalo in chat mentre indottrinava aspiranti jihadisti al martirio e condivideva post con immagini di sgozzamenti e scene di guerra. Ibrahim condivideva anche copie del settimanale "Al-Naba", media di propaganda e rivendicazione di attentati, rivista ufficiale di Daesh. "Quando uno ha ucciso con la strada di Allah - diceva - non è morto". Il 20enne somalo è stato fermato a Bari il 13 dicembre scorso: la polizia lo ha bloccato con le valigie in mano, mentre tentava di fuggire dopo aver esultato, poche ore prima, per l'attentato a Strasburgo: "Quello che uccide i nemici di Allah - si legge in una sua intercettazione - è nostro fratello". Mohsin Ibrahim era stato segnalato all'antiterrorismo barese dall'intelligence italiana e internazionale come un "mujaheddin", miliziano dell'Isis, componente del gruppo armato somalo-keniota di Daesh, noto per aver combattuto in Somalia e in Libia, e arrivato in Italia nel novembre 2016, dopo l'arretramento dell'Isis, "per compiere attentati fuori dai confini dello Stato Islamico come quelli" di Parigi e Bruxelles. Ibrahim era arrivato in Sicilia, poi si era trasferito in Emilia Romagna dove aveva ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e da un anno viveva in Puglia dove lavorava in una impresa di pulizie. La sua permanenza a Bari, prima in una struttura di accoglienza e poi nel Ferrhotel, lo ha visto un anno fa protagonista di un'aggressione per strada ad un passante. Nell'ascoltare quelle preghiere "batte il cuore", spiegava il somalo in chat mentre indottrinava aspiranti jihadisti al martirio e condivideva post con immagini di sgozzamenti e scene di guerra. Ibrahim condivideva anche copie del settimanale "Al-Naba", media di propaganda e rivendicazione di attentati, rivista ufficiale di Daesh. "Quando uno ha ucciso con la strada di Allah - diceva - non è morto".