Tutto da rifare il processo a sei trafficanti di droga condannati a Palermo in primo grado a pene pesantissime (fino a 19 anni) per una compravendita di stupefacenti tra la Sicilia e la Campania. La corte d’appello del capoluogo, accogliendo una istanza presentata dai legali già davanti al gup e allora respinta, si è dichiarata territorialmente incompetente a decidere e ha annullato il primo verdetto rimandando il procedimento al gup di Napoli perché si riparta dall’udienza preliminare. Per tutti gli imputati c'è ora il rischio scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Alla sbarra, tra gli altri, c'era Matteo Cracolici, arrestato con l’accusa di aver «prestato» l’identità al boss latitante Matteo Messina Denaro che, per mesi sarebbe andato in giro con i suoi documenti. Cracolici nel processo sul traffico di droga aveva avuto 19 anni di reclusione in abbreviato. Il gup aveva condannato poi i suoi coimputati Francesco Failla a 7 anni e 4 mesi, Antonino Marino a 7 anni e 10 mesi, e i napoletani Giuliano Marano a 13 anni, Francesco Greco 14 anni e 4 mesi e Francesco Battinelli 7 anni e 8 mesi.
Il processo nasce da una indagine dei carabinieri che, nel 2016, portò alla scoperta di un traffico di droga fra Napoli e
Palermo. Nel corso della operazione furono sequestrati 130 chili di hashish, nascosti nel doppiofondo di una macchina. Cugino della moglie di Francesco Nangano, mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio assassinato nel 2013, Cracolici sarebbe stato tra i capi dell’organizzazione di narcos. Di lui aveva parlato il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli. Lo aveva indicato come uomo di fiducia del capomafia trapanese che a Bagheria e dintorni ha trascorso una parte della sua latitanza, all’inizio degli anni Novanta.
Cracolici aveva denunciato alla stazione dei carabinieri di Brancaccio, nel marzo del 1994, lo smarrimento della carta
d’identità. Pochi mesi dopo Messina Denaro con il documento riuscì a imbarcarsi per la Grecia.
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